martedì 23 novembre 2010

Tsunami a Porto Ercole - Il Consiglio di Stato pronuncia una sentenza che farà storia sulle concessioni marittime dell'Argentario

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA NUMERO 07239/2010 REG.SEN.

FATTO
Con le sentenze impugnate il primo giudice ha respinto i ricorsi proposti dalla società odierna appellante avverso taluni provvedimenti con cui il Comune di Monte Argentario ha disposto, su richiesta dei soggetti contro interessati in primo grado, il rinnovo quadriennale di concessioni per ormeggio, in scadenza il 31 dicembre 2006, su porzioni della superficie acquea oggetto della domanda presentata dalla stessa ricorrente, avente ad oggetto il rilascio di concessione rivolta all’uso di approdo turistico.
Nel dettaglio, la Società Marina Management s.r.l., ha presentato, il 28 dicembre 2006 (con la precedente denominazione Etrusca Marina s.r.l.), alla Capitaneria di Porto di Livorno domanda tesa ad ottenere il rilascio di una concessione demaniale marittima su uno specchio d’acqua di mq. 56.030 all’interno del porto di Porto Ercole nel Comune di Monte Argentario, indicata nella modulistica come rivolta all’uso di approdo turistico.
La domanda ha quindi seguito l’iter previsto dal D.P.R. 509/1997, venendo ricondotta a procedimento già pendente in riferimento ad altre domande precedentemente proposte ed a suo tempo sospeso ed è stata sottoposta alla conferenza dei servizi prevista per la procedura disciplinata da detta normativa.
Ha quindi impugnato taluni provvedimenti con cui il Comune ha disposto, su richiesta dei soggetti controinteressati in primo grado, il rinnovo quadriennale di concessioni, in scadenza il 31 dicembre 2006, per ormeggio relativo ad una porzione della superficie chiesta dalla ricorrente; provvedimenti la cui validità è stata espressamente “subordinata…all’esito del procedimento amministrativo in corso di cui al D.P.R. del 02 dicembre 1997 n. 509”.
Il primo giudice, nel disattendere i ricorsi, ha ritenuto:
• che sarebbero state invocate, a sostegno dei ricorsi, normative volte a disciplinare situazioni diverse tra loro e non sovrapponibili, il procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto di cui al d.p.r. n. 509/97 applicandosi solo ai porti turistici ed agli approdi turistici, non anche ai punti di ormeggio, per i quali trovano applicazione le pertinenti norme del codice della navigazione;
• che il riferimento all’art. 37 del codice della navigazione ed al “concorso di più domande” ivi contemplato nonché all’esigenza di un’interpretazione comunitariamente orientata del c.d. diritto di insistenza del precedente concessionario non è risolutivo nella specie, la domanda della società ricorrente non essendo omogenea e comparabile, dal punto di vista qualitativo ancor prima che quantitativo, con quelle delle imprese controinteressate;
• che, quanto alla denunciata violazione del principio di trasparenza e dell’art. 18 del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione, assuntamente implicante l’impossibilità per la società ricorrente di attendere alla presentazione di una diversa domanda avente il medesimo oggetto di quelle delle controinteressate, l’art. 18 citato, così come il connesso dibattito sull’appropriatezza dei mezzi previsti a garantire un adeguato livello di pubblicità, si riferiscono al caso di “concessione di particolare importanza per l’entità o lo scopo”, mentre le concessioni in questione (considerata la superficie acquea interessata, l’entità del canone, la durata prevista e comunque subordinata all’esito del procedimento ex d.p.r. n. 509/97) oggettivamente non rivestono tale carattere;
• che a tali concessioni si attaglia la previsione dell’art. 8 del regolamento stesso, il quale prevede che le concessioni di durata non superiore al quadriennio che non importino impianti di difficile rimozione possono essere rinnovate senza formalità di istruttoria, salvo il parere sulla misura del canone.
Propone distinti appelli la società ricorrente deducendo l’erroneità delle sentenze gravate di cui chiede l’annullamento.
All’udienza del 28 maggio 2010 le cause sono state trattenute per la decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, va disposta la riunione degli appelli, attesa l’identità delle questioni involte.
Gli appelli vanno accolti.
Giova considerare che con l’unico motivo di gravame si deduce l’erroneità delle sentenze impugnate laddove hanno disatteso la denunciata violazione del principio di trasparenza e dell’art. 18 del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione.
Ad avviso della società ricorrente, invero, i provvedimenti impugnati in primo grado, di rinnovo per quattro anni delle sette concessioni demaniali già rilasciate, sono stati adottati in violazione delle norme e dei principi, anche di derivazione comunitaria, che impongono la previa ed adeguata pubblicità e l’osservanza di svolgere procedure di tipo competitivo.
Secondo il primo giudice l’art. 18 del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione, così come il connesso dibattito sull’appropriatezza dei mezzi previsti a garantire un adeguato livello di pubblicità, si riferiscono al caso di “concessione di particolare importanza per l’entità o lo scopo”, mentre le concessioni in questione (considerata la superficie acquea interessata, l’entità del canone, la durata prevista e comunque subordinata all’esito del procedimento ex d.p.r. n. 509/97) oggettivamente non rivestono tale carattere, alle stesse essendo riferibile la previsione dell’art 8 del regolamento stesso, il quale prevede che le concessioni di durata non superiore al quadriennio che non importino impianti di difficile rimozione possono essere rinnovate senza formalità di istruttoria, salvo il parere sulla misura del canone.
Si tratta di posizione non condivisa dal Collegio.
L'articolo 18 del regolamento della navigazione marittima stabilisce l'obbligo di pubblicazione delle domande di concessione di particolare importanza per l'entità e lo scopo, senza fare alcuna distinzione tra domande di concessione originarie e domande di rinnovo di concessione già scadute o in scadenza.
A ciò si aggiunga che la rilevanza dell'estensione delle aree interessate dalle concessioni in scadenza consente di ravvisare l'integrazione anche del profilo quanti-qualitativo della particolare importanza della concessione sul piano dell'entità e dello scopo, al quale l'articolo 18 del regolamento, interpretato alla luce del diritto comunitario, che in ogni caso impone l'inversione del rapporto regola-eccezione, subordina l'integrazione delle forme di pubblicità della domanda date dall'affissione nell'albo comunale e dall'inserzione per estratto nel foglio degli annunzi legali.
A ciò comunque si aggiunga –e pare dirimente al Collegio- che, come ritenuto da una diffusa e ormai consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che è sufficiente in questa sede richiamare (sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168; sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 362), l'obbligo di dare corpo a forme idonee di pubblicità deriva in via diretta dai principi del Trattato dell'Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto.
‘E noto, invero, che “l'indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie fa sì che la sua sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di un'area demaniale marittima si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, così da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione” (Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2009, n. 902).
‘E quanto non può negarsi che possa sostenersi nel caso di specie, se solo si considera che vengono in rilievo rinnovi di concessioni aventi ad oggetto pontili ai quali possono ormeggiare numerose imbarcazioni in un prestigioso porto turistico italiano.
Ebbene, il ricordato principio di trasparenza è stato vulnerato con l'avvio di una procedura non pubblicizzata di rinnovo; omissione certo non surrogabile in forza di un non esigibile onere di attivazione ufficiosa delle imprese interessate.
Nel caso di specie, in particolare, è mancata una adeguata pubblicità, come comprovato dalla omessa pubblicazione nel foglio degli annunzi legali, su quotidiani, sul sito internet della stazione affidante; non vi è neanche prova, peraltro, della pubblicazione delle domande di rinnovo all’Albo pretorio del Comune di Monte Argentario.
Né la conoscenza aliunde della pendenza dei procedimenti di rinnovo può desumersi dalla memoria presentata dalla società appellante all’Amministrazione comunale nel marzo del 2007.
Invero, in disparte quanto già osservato in merito alla non superabilità del vizio derivante dall’omessa pubblicità della procedura di rinnovo con un non esigibile onere di attivazione ufficiosa delle imprese interessate, con la richiamata memoria la società appellante si è limitata a prendere atto della nota n. 431/2007, certo da sé sola inidonea a fornire le informazioni necessarie per consentire la presentazione di una domanda in concorrenza con quelle di rinnovo.
Alla stregua delle esposte considerazioni vanno accolti in parte qua gli appelli, attesa peraltro la non dimostrata sussistenza delle condizioni eccezionalmente legittimanti il rinnovo automatico delle concessioni.
Va, invece, disattesa la domanda risarcitoria, del tutto priva del benché minimo supporto probatorio.
Sussistono tuttavia motivi per compensare integralmente fra le parti anche le spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in Sede giurisdizionale, Sezione sesta, definitivamente pronunciando sui ricorsi, li riunisce e li accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati innanzi al TAR.
Spese di entrambi i gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2010 con l'intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Domenico Cafini, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere, Estensore




 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione

venerdì 19 novembre 2010

Sentenza Tar Puglia in materia di improcedibilità di ricorso avverso sentenza di demolizione a causa della pendenza di richiesta di sanatoria


N. 02052/2010 REG.SEN.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 21 e 26 della legge 1034/71 e successive modifiche e integrazioni,
Sul ricorso numero di registro generale 439 del 2010, proposto da:
                                                     l., rappresentati e difesi dagli avv.ti Massimo Spinozzi e Filippo de Miccolis Angelini, con domicilio eletto presso                   
contro
                             , rappresentato e difeso dall'a                                      ; 
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
OMISSIS..........
Considerato che il ricorso in esame è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che il ricorrente ha presentato in data 16.3.2009 n. 3 istanze di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 D.P.R. n. 380/01;
Rilevato che la presentazione di istanza di permesso edilizio in sanatoria dovrà essere definita dall’Amministrazione con un provvedimento formale e che, pertanto, anche per l’ipotesi di esito negativo, dovrà intervenire un nuovo provvedimento sanzionatorio (in tal senso, ex multis, T.A.R. Puglia Bari Sez. III 11.6.2008 n. 1455; T.A.R. Puglia Bari Sez. III 30.1.2008 n. 94; T.A.R. Campania Napoli Sez. IV 3.4.2008 n. 1838);
Considerato pertanto che l’impugnato provvedimento di demolizione è divenuto inefficace e che l’Amministrazione dovrà adottare nuovo provvedimento in esito alla definizione dell’istanza di sanatoria;
Considerato che l’improcedibilità risulta assorbente e preliminare rispetto ad ogni altra valutazione;
Ritenuto che ricorrono giustificati motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sede di Bari – Sezione Seconda dichiara improcedibile il ricorso n. 439/10, proposto dal                 , in p.
Spese compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:
Pietro Morea, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Referendario







Sentenza del Tar Lazio in materia di denominazione di servizi turistici come "GRANTURISMO": T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater 7 giugno 2010 n. 15934



DIRITTO


Diritto. - Si impugna l'atto di diniego indicato in epigrafe con cui la Provincia di Roma non ha acconsentito alla modifica del programma di esercizio dell'attività di trasporto di tipo "granturismo" - gestita dalla ricorrente sulla linea Roma-Ciampino- Roma in virtù di un'autorizzazione rilasciata nel 2005 che consentiva la sola salita dei passeggeri alla fermata dell'Aeroporto, nel tragitto Roma-Ciampino e la sola discesa nel tragitto Ciampino-Roma. In particolare veniva negata l'autorizzazione alla libera salita/discesa dei passeggeri nel tratto terminale, relativo al collegamento Ciampino Paese (stazione) - Ciampino Aeroporto, che avrebbe reso possibile il trasporto passeggeri, in entrambe le direzioni, lungo il percorso già garantito dal servizio di trasporto pubblico locale (linea n. 4 con partenza da Ciampino Stazione).
Il provvedimento impugnato risulta immune dal difetto di motivazione lamentato con il primo mezzo di gravame.
L'Amministrazione provinciale ha rifiutato la modifica delle modalità di carico/scarico passeggeri presso le fermate di Ciampino Aeroporto e Ciampino stazione in quanto ha ritenuto che tale itinerario non rientrasse nella tipologia dei servizi di trasporto qualificabili come granturismo, non avendo il Comune di Ciampino caratteristiche artistiche, storico-ambientali, paesaggistiche tali da essere ritenuto località turistica.
L'iter logico-giuridico seguito dalla Provincia è chiaro, essendo fondato sull'incompetenza a rilasciare l'autorizzazione per esercitare il trasporto di linea di tipo granturismo verso itinerari che non conducano a località di interesse turistico.
Sotto tale profilo, il provvedimento impugnato ha ben evidenziato le "ragioni giuridiche" su cui si fonda, consistenti nella non riconducibilità del servizio in questione (collegamento del Comune di Ciampino al locale aeroporto) alla tipologia di trasporto "di linea gran turismo", in mancanza del presupposto fondamentale, e cioè della "finalità" di valorizzazione turistica del territorio prevista dal legislatore regionale, che include nei servizi in parola esclusivamente quelli "che hanno lo scopo di valorizzare le caratteristiche artistiche, storico ambientali e paesaggistiche delle località da essi collegate" e dallo svolgimento a tariffa libera in regime di concorrenza (art. 4, comma 5 bis, della l. rg. n. 30/1998 mod.dalla l. rg. n. 16/2003).
Né l'atto gravato risulta immotivato per quanto concerne i presupposti fattuali, essendo evidente che non può certo addossarsi alla Provincia l'onere di diffondersi in articolate descrizioni volte ad esplicitare le ragioni per cui Ciampino non possa essere considerata una "località turistica", né convince l'assunto della ricorrente, secondo cui "il collegamento tra aeroporto e centro urbano presenta comunque una valenza turistica" in quanto "l'aeroporto è incontestabilmente un nodo di scambio intermodale del flusso turistico".
Come chiarito dalla Sezione nella sentenza n. 11718/2008, ribadendo l'essenzialità ed imprescindibilità dello scopo di valorizzazione turistica del servizio di trasporto granturismo, quel che rileva, ai fini della qualificazione di un servizio come granturismo, non è esclusivamente il carattere storico-artistico della località collegata, quanto la sua attitudine ad intercettare "flussi di visitatori" e quindi promuovere uno sviluppo turistico, inteso in senso ampio, comprendendo in tale finalità anche tipi particolari di turismo (quali quello "fieristico" ovvero "termale"), e quindi, in definitiva, la sua capacità di attrarre una determinata categoria di visitatori (viaggiatori amanti dello shopping ed operatori commerciali oppure alla ricerca di luoghi di benessere, etc.), riconoscendo la "forza attrattiva" degli "ambiti spaziali" dei centri commerciali e sulle connesse interrelazioni con le vie di comunicazione già posta alla base di precedenti pronunce (Tar Lazio, sez. II quater, n. 3545 del 24 aprile 2008).
Orbene, in tale ottica, va riconosciuto che la sussistenza di una simile vocazione attrattiva di possibili flussi turistici diretti al Comune di Ciampino non è seriamente sostenibile e quindi l'autorità procedente non poteva certo onerarsi di una diffusa motivazione al riguardo.
Ne consegue che risulta del tutto ininfluente l'eventuale "parere" favorevole reso dal Comune di Ciampino, in quanto lo stesso non incide sulla oggettiva mancanza nella località della potenzialità di intercettare flussi turistici dal vicino aeroporto.
Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato.
Va del pari disatteso il secondo mezzo di gravame, con il quale si afferma che il provvedimento impugnato non terrebbe conto che anche il tratto in questione rientra nel collegamento di GT già autorizzato, né avrebbe considerato che la normativa in materia di trasporto pubblico locale comprenderebbe ormai, in un sistema unitario, sia i servizi di linea ordinari, sia i servizi di linea granturismo, né, infine, avrebbe valutato il fatto che la distinzione tra i diversi servizi di trasporto (non solo tra quelli di granturismo e di trasporto pubblico locale, ma altresì tra granturismo e servizi ordinari) sarebbe venuta meno con il tramonto del regime concessorio, sostituito da regime autorizzatorio.
La prospettazione non può essere condivisa.
In primo luogo, va osservato che non è contestabile la natura di servizio di trasporto pubblico locale, di tipo comunale, del collegamento aggiuntivo richiesto dalla ricorrente, rientrando pacificamente tra quelli così qualificati, dall'art. 3 co. 2 lett. C) della l. rg. n. 30 del 16 luglio 1998, la quale contempla espressamente i servizi "che collegano il territorio di un comune con una parte marginale e circoscritta del territorio di un comune limitrofo, nonché con un centro di servizi o uno sportello polifunzionale."
L'invocata "liberalizzazione" del trasporto pubblico locale, inoltre, è tale solo nel senso, già chiarito dalla sentenza del Tar Lazio, sez. II, n. 11718/2004, che la "complessa e travagliata vicenda del progressivo processo di liberalizzazione delle diverse tipologie dei servizi di trasporto pubblico" si svolge secondo la logica della cosiddetta "concorrenza per il mercato", consistente nel passaggio dall'iniziale regime amministrativo sottoposto a concessione al previo esperimento di procedure concorsuali ad evidenza pubblica a tutela di interessi pubblici ritenuti preminenti sulla libertà di iniziativa economica privata.
La diversa introduzione di un sistema completamente basato su un regime autorizzatorio, come preteso dal ricorrente, volto a valorizzare la libertà di iniziativa economica privata, secondo la logica della cosiddetta "concorrenza nel mercato", allo stato della legislazione, riguarda solo uno specifico servizio di trasporto, e cioè quello rientrante nella tipologia del gran turismo.
La cd. "liberalizzazione" del trasporto pubblico locale, pertanto, allo stato, anche dopo l'intervento operato dall'art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, inserito in sede di conversione dall'art. 1, comma 1, della l. 6 agosto 2008, n. 133, mod. dall'art. 15 d.l. 25 settembre 2009 n. 135, è sempre limitata al mero passaggio dall'affidamento diretto alle procedure a evidenza pubblica, come chiaramente enunciato dal comma 2, il quale stabilisce che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali debba avvenire "mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità" , facendo salva la possibilità di ricorrente a diverse modalità di affidamento in house esclusivamente in caso di "situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato".
In tale prospettiva, ovviamente, non ha alcun rilievo la circostanza di mero fatto che la località in questione sia inclusa nell'itinerario gestito dalla ricorrente, atteso che si tratta di un percorso volto a collegare le varie località comprese nel tragitto con il sito di interesse turistico interessato, nel rispetto delle soprarichiamate finalità di valorizzazione turistica, il che esclude , ovviamente, che l'operatore possa esercitare anche i servizi di collegamento "interno" (nella fattispecie intercomunale) tra le località toccate nelle fermate intermedie, in quanto, altrimenti, finirebbe per gestire linee di trasporto pubblico locale - in concorrenza con il gestore legittimamente individuato tramite procedure di evidenza pubblica-, in virtù di un "affidamento" ottenuto, in base alla mera coincidenza fisico-spaziale delle fermate servite dalla linea di granturismo, senza sottoporsi a previa gara, come prescritto dalla normativa in materia. In tal caso peraltro si determinerebbe un'inammissibile alterazione delle competenze istituzionali, in quanto la Provincia, nell'autorizzare le modifiche del programma di esercizio nel senso voluto dalla ricorrente, finirebbe con l'interferire con l'operato dell'Autorità comunale, unica competente ad individuare, tramite le prescritte procedure concorsuali, i soggetti affidatari del servizio di TPL comunale, ai sensi dell'art. 10 della l. rg. 16 luglio 1998 n. 30 sopra richiamata.
Ne consegue che l'iter logico-giuridico seguito dall'Amministrazione appare chiaro e le ragioni ostative poste a fondamento dell'atto di diniego impugnato risultano giuridicamente insuperabili.
Va detto, per completezza, che non sono immeritevoli di attenta considerazione gli inconvenienti denunciati dalla società ricorrente (fenomeno della proliferazione degli operatori abusivi), situazione peraltro notoriamente analoga a quella del collegamento delle località minori limitrofe all'aeroporto di Fiumicino. Ma altri sono gli strumenti per perseguire chi opera nell'illegalità.
Allo stato, tuttavia, una totale liberalizzazione del settore rientra solo tra le prospettive di riforma e non poteva pertanto indurre l'Amministrazione a determinarsi diversamente. Tant'è che, anche l'autorizzazione rilasciata alla società concorrente Terravision è stata sottoposta alle medesime limitazioni imposte alla ricorrente, come si evince dal provvedimento depositato dalla resistente in allegato 17 alla memoria del 14 maggio 2009.
Il ricorso va perciò respinto in quanto infondato.

Ecco una interessante sentenza sullo straordinario nel lavoro pubblico e sulla necessità della sua preventiva autorizzazione

Consiglio di Stato - Sezione quinta - decisione 28 settembre - 26 ottobre 2010, n. 7625
Presidente Scola - Relatore Saltelli
Ricorrente Di Bartolomei


Sul ricorso in appello r.g.n. 4034/2009, proposto da:
Di Bartolomei Giancarlo, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Funari, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, piazza Acilia, 4;
controRegione Lazio, in persona del presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Rosa Maria Privitera, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
A.s.l. Roma E, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Umberto Longaroni, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Pietro De Cristofaro, 40;
per la riformadella sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sezione III, n. 11160 del 10 dicembre 2008, resa tra le parti e concernente la corresponsione di somme per lavoro straordinario.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio della regione Lazio e dell’A.s.l. Roma E;
visti tutti gli atti e le memorie di causa;
relatore, all’udienza pubblica del giorno 28 settembre 2010, il Consigliere Carlo Saltelli ed udito, per la parte appellante, l’avv. Funari;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

Fatto

1. Il T.a.r. Lazio, Roma, sez. III, con la sentenza n. 11160 del 10 dicembre 2008, ha respinto il ricorso proposto dal dott. Giancarlo Di Bartolomei, volto ad ottenere il pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario, asseritamente prestato dal 1° gennaio 1997 al 30 giugno 1998, in espletamento del servizio di guardia medica, quale aiuto medico di ruolo presso il Presidio ospedaliero di Villa Betania, facente parte dell’A.u.s.l. RM E.
Secondo il Tribunale, infatti, non risultavano emessi formali provvedimenti autorizzatori per lo svolgimento delle prestazioni di lavoro straordinario di cui si richiedeva il pagamento, essendo inconferente a tal fine la produzione dei tabulati delle presenze che si limitavano ad evidenziare un dato di fatto, quale la presenza del ricorrente in servizio, senza tuttavia che da ciò potesse presumersi l’esistenza di un’autorizzazione allo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario.
2. Con atto di appello, notificato a mezzo del servizio postale il 24 aprile 2009, l’interessato ha chiesto l’annullamento della predetta sentenza, lamentandone l’erroneità alla stregua di tre motivi di gravame, rubricati rispettivamente “incongruità ed insufficienza della motivazione”, “omessa disamina di presupposti determinanti” ed “eccesso di potere per sviamento e travisamento - incongrua valutazione delle risultanze acquisite attraverso l’adempimento dell’ordinanza collegiale”, rilevando che, a differenza di quanto frettolosamente ed immotivatamente ritenuto dai primi giudici, proprio dalla documentazione versata in atti sarebbe emersa non solo l’effettività, ma anche la necessità delle prestazioni rese, dal che sarebbe discesa, al di là di ogni ragionevole dubbio, la spettanza della retribuzione richiesta, ingiustamente negata dall’amministrazione.
Hanno resistito al gravame la regione Lazio e l’A.u.s.l. Roma E, chiedendone il rigetto siccome inammissibile ed infondato.
All’udienza del 28 settembre 2010, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

3. L’appello è infondato e deve essere respinto, potendo pertanto prescindersi dall’esame dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, sollevata dalla costituita A.u.s.l. Roma E.
3.1. Come correttamente rilevato dai primi giudici, nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, la circostanza che il dipendente abbia effettuato prestazioni eccedenti l’orario d’obbligo non è da sola sufficiente a radicare il suo diritto alla relativa retribuzione (e l’obbligo dell’amministrazione di corrisponderla), atteso che, altrimenti, si determinerebbe quoad effectum l’equiparazione del lavoro straordinario autorizzato rispetto a quello per il quale non sia intervenuto alcun provvedimento autorizzativo, compensando attività lavorative svolte in via di fatto, di cui non sia stata accertata la rispondenza a concrete ed effettive necessità (C.d.S., sez. V, dec. 23 marzo 2004 n. 1532).
È noto infatti che la retribuibilità delle prestazioni di lavoro straordinario è condizionata all’esistenza di una formale autorizzazione allo svolgimento di prestazioni di lavoro eccedenti l’orario d’ufficio: detta autorizzazione svolge una pluralità di funzioni, tutte riferibili alla concreta attuazione dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento cui, ai sensi dell’articolo 97 Costituzione, deve essere improntata l’azione della pubblica amministrazione.
Invero, sotto un primo profilo, essa (che di regola dev’essere preventiva, ma che tuttavia può assumere eccezionalmente anche la forma del provvedimento in sanatoria, ex post) implica la verifica in concreto della sussistenza delle ragioni di pubblico interesse, che rendono necessario il ricorso a prestazioni lavorative eccedenti l’orario normale di lavoro (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, dec. 24 dicembre 2003 n. 8522; sez. V, dec. 10 febbraio 2004 n. 472, dec. 27 giugno 2001 n. 3503 e dec. 8 marzo 2001 n. 1352; sez. VI, dec. 14 marzo 2002 n. 1531); inoltre, essa rappresenta anche lo strumento, più adeguato, per evitare, per un verso, che attraverso incontrollate erogazioni di somme di danaro, per compensare prestazioni di lavoro straordinario, si possano superare i limiti di spesa fissati dalle previsioni di bilancio (con grave nocumento dell’equilibrio finanziario dei conti pubblici) e, per altro verso, che i pubblici dipendenti siano assoggettati a prestazioni lavorative che, eccedendo quelle ordinarie (individuate come punto di equilibrio fra le esigenze dell’amministrazione e il doveroso rispetto delle condizioni psico - fisiche del dipendente), possano creare per l’impiegato nocumento alla sua salute ed alla sua dignità di persona.
Sotto altro profilo, poi (e con particolare riferimento al principio del buon andamento), la formale preventiva autorizzazione al lavoro straordinario deve costituire, per l’amministrazione, anche lo strumento per l’opportuna ed adeguata valutazione delle concrete esigenze dei propri uffici (quanto al loro concreto funzionamento, alla loro effettiva capacità di perseguire i compiti assegnati ed espletare le funzioni attribuite dalla legge, nonché all’organizzazione delle risorse umane ed alla loro adeguatezza), onde evitare che il sistematico ed indiscriminato ricorso alle prestazioni straordinarie costituisca elemento di programmazione dell’ordinario lavoro di ufficio.
Deve anche aggiungersi che la preventiva autorizzazione allo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie costituisce assunzione di responsabilità, gestionale e contabile, per il dirigente che la emette.
La giurisprudenza ha anche affermato che il principio della indispensabilità dell’autorizzazione allo svolgimento del lavoro straordinario subisce eccezione quando l’attività sia svolta per obbligo d’ufficio (al riguardo si parla di autorizzazione implicita), ma, nel rispetto dei principi costituzionali sopra ricordati, deve pur sempre trattarsi di esigenze indifferibili ed urgenti (C.d.S., sez. V, dec. 9 marzo 1995 n. 329).
In tale ottica, devono essere considerate positivamente (tanto più, quando esse siano condivise e/o concordate con le organizzazioni sindacali rappresentative degli interessi dei lavoratori) quelle misure concretamente adottate dall’amministrazione che, in presenza di accertate, indilazionabili e quotidiane esigenze di servizio, anche per rispettare i ristretti limiti finanziari, entro cui sia consentito liquidare le prestazioni di lavoro straordinario, prevedano la possibilità di compensare le predette prestazioni lavorative straordinarie con riposi compensativi, in modo da salvaguardare altresì l’integrità psico - fisica del lavoratore.
3.2. Sulla scorta di tali consolidati e condivisibili principi l’appello in esame non può trovare favorevole considerazione.
3.2.1. È pacifico, invero, in punto di fatto che le prestazioni di lavoro straordinario di cui l’interessato chiede il pagamento non siano mai state autorizzate, né in via preventiva, come di norma dovrebbe avvenire, né successivamente in via di sanatoria, come pure è ammesso in casi eccezionali.
Ciò trova documentale conferma nella relazione dell’A.s.l. Roma E (prot. DAPO 4610 del 27 giugno 2008), resa in ottemperanza all’ordinanza istruttoria disposta dal giudice di primo grado, in cui si evidenzia non solo che dai dati con essa forniti non emerge l’asserita situazione di carenza di organico o di superlavoro, addotti dall’interessato a sostegno della propria richiesta, quanto alla mancata necessaria autorizzazione preventiva alla prestazione di lavoro straordinario (da emettersi dal responsabile del servizio), senza contare che “il lavoro straordinario per la dirigenza è di norma non soggetto a remunerazione, poiché il surplus di orario è uno degli elementi che concorrono al raggiungimento degli obiettivi ed ai fini dell’indennità di risultato (art. 17, comma 1, c.c.n.l. 1994 - 1997, confermato dal successivo c.c.n.l. 1998/2001”).
È poi alla luce di tale considerazione che deve essere letta la precedente affermazione, pure contenuta nella predetta relazione (altrimenti equivoca e sibillina), secondo cui “Dalla visura dell’orario di servizio svolto [dall’interessato], lo straordinario risulta derivare da prolungamenti dell’orario normale”: invero, il fatto che le prestazioni lavorative si siano protratte oltre l’orario di lavoro non deriva da situazioni eccezionali, che avrebbero giustificato il lavoro straordinario, ma soltanto dalla necessità di terminare le visite mediche, regolarmente iniziate nell’orario ordinario (attività che, evidentemente, non può trovare interruzione).
Ciò rende priva di qualsiasi rilievo, come puntualmente osservato dai primi giudici, la circostanza che nei tabulati mensili delle presenze, relative al periodo compreso tra il 1° gennaio 1997 ed il 30 giugno 1998, siano indicate anche ore di lavoro straordinario, trattandosi evidentemente del frutto di una mera operazione aritmetica ed automatica, prevista dall’elaboratore, mancando qualsiasi elemento indiziario da cui ricavare che alla ricordata contabilizzazione (e differenziazione) automatica (in ordinarie e straordinarie) delle ore di servizio prestate corrisponda un’autorizzazione implicita (o una sanatoria quanto) alla prestazione di lavoro straordinario.
3.2.2. D’altra parte, è appena il caso di rilevare che, anche a voler prescindere da quanto evidenziato dall’amministrazione nella ricordata relazione (sulla quale nessuna significativa contraria osservazione o controdeduzione è stata svolta dall’interessato), la stessa disciplina invocata sin dal primo grado a sostegno della pretesa azionata (art. 80 del d.P.R. 28 novembre 1990 n. 384 ed artt. 19 e 62 del c.c.n.l.), lungi dal riconoscere la libera prestazione di lavoro straordinario, ne circoscrive l’ammissibilità a situazioni contingenti ed eccezionali ed a ben precisi limiti temporali.
Completezza espositiva impone di rilevare ancora che non è utilizzabile, al fine di dimostrare la presunta carenza di personale, quale circostanza legittimante lo svolgimento di lavoro straordinario, la delib. n. 263/P.2271 del 9 marzo 1993 dell’U.s.l. RM 11, atteso che quest’ultima, come risulta dal suo indiscutibile tenore letterale, autorizza l’esecuzione di lavoro straordinario solo per l’anno 1993.
4. In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello dev’essere respinto.
La risalenza della controversia giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal dott. Giancarlo Di Bartolomei, avverso la sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sez. III, n. 1160 del 10 dicembre 2008, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parte le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.