L’inchiesta pubblica (quanto e come le decisioni amministrative e le politiche di partecipazione in materia ambientale conducono all’emersione degli interessi “deboli” e da questi sono orientate).


Sommario. Introduzione. 1. Interessi collettivi, interessi diffusi e ambiente. 2. La valutazione di impatto ambientale nell’ordinamento comunitario e nell’ordinamento interno: gli istituti di partecipazione. 3. La valutazione di impatto ambientale dei progetti di impianto di produzione di energia elettrica: la partecipazione sociale e l’inchiesta pubblica. 4. Gli istituti di partecipazione. 5. La legislazione regionale: rassegna ricognitiva. 6. Profili processuali. Bibliografia.

Presentazione. Il presente lavoro ha ad oggetto lo studio di un tema centrale dell’attuale dibattito in tema di decisioni amministrative: la partecipazione al procedimento amministrativo dei privati titolari di interessi – tradizionalmente considerati minori – che questo è tuttavia destinato ad incidere, con specifico riferimento al settore delle politiche decisionali in materia – anche in senso lato1 – ambientale.
1 Si pensi, a titolo esemplificativo, allo sviluppo che il tema ha avuto in materia urbanistica e di pianificazione territoriale.
Segnatamente, l’attenzione verrà concentrata su una particolare forma di partecipazione procedimentale, l’inchiesta pubblica, forma tipizzata dal legislatore, nazionale e regionale, in relazione alla valutazione di impatto ambientale rispetto alla quale costituisce una fase del procedimento amministrativo.
L’interesse verso tale tema emerge in tutta la sua compiutezza da un dato fattuale ormai non più ignorabile: nessun amministratore pubblico può ormai, ragionevolmente, pensare di realizzare un’opera che abbia un minimamente apprezzabile impatto ambientale prescindendo dal consenso, o comunque da uno standard minimo di coinvolgimento democratico, delle comunità destinate a vedere i propri interessi – o, nell’ipotesi minima, i luoghi nei quali essa vive – incisi dall’opera: ciò non solo per la sempre maggiore attenzione riservata alle associazioni o ai comitati portatori di interessi collettivi o diffusi (nonché alla loro sempre crescente capacità, anche mediatica, (di porsi e) di porre la questione di interesse ambientale all’ordine del giorno), ma anche per la progressiva costruzione del procedimento amministrativo come luogo di formazione di una volontà amministrativa non più autonoma ed unilaterale bensì concertata.
Il predetto tema si lega a doppia mandata con una delle ricostruzioni dogmatiche più complesse del diritto amministrativo sostanziale, ovvero la tutela degli interessi collettivi e diffusi nell’ordinamento interno, tema nei confronti del quale la dottrina non si è spesa con particolar entusiasmo. Senza addentrarsi nelle ricostruzioni sistematiche offerte nel corso degli anni dagli Autori che hanno studiato la materia, nella presente sede ci si limiterà ad una valutazione della possibilità di tutela dei citati interessi, tradizionalmente identificati come “deboli” se comparati con il diritto soggettivo o con l’interesse
legittimo, congiuntamente ad una disamina della loro effettiva rilevanza in campo ambientale.

1. Interessi collettivi, interessi diffusi e ambiente. Per procedere allo studio dell’istituto dell’inchiesta pubblica è necessario muovere da un esame preliminare dei principali elementi della natura e dell’oggetto di essa. Rinviando agli approfondimenti di cui ai capitoli che seguono, è possibile sin da ora anticipare che l’inchiesta pubblica rappresenta il luogo in cui si esercitano, a vario titolo ed in varie forme, i diritti di partecipazione di soggetti –  non altrimenti qualificati, in termini soggettivi, oltre il “chiunque” – al fine di consentire l’emersione di elementi conoscitivi e valutativi relativi ai possibili effetti che l’opera da realizzare potrebbe avere sull’ambiente. Tale partecipazione2 – che si estrinseca in una forma debole, riconducibile alla stretta pubblicità ed alla astratta conoscibilità degli atti; ed in una più marcata, che si traduce in un ruolo attivo del soggetto partecipante ai lavori della procedura di v.i.a. – in tanto può essere concessa ed esercitata in quanto i soggetti in capo ai quali viene riconosciuto il relativo diritto siano titolari di situazioni giuridiche soggettive3 ritenute meritevoli di tutela dall’ordinamento.
2 La partecipazione amministrativa è espressione diretta del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’Art. 3, comma 2, Cost.: assurgendo a valore costituzionalmente garantito, la partecipazione deve essere consentita, oltre che al singolo, anche ai gruppi organizzati in formazioni sociali in cui il singolo estrinseca la propria personalità (cfr. V. Vigoriti, Interessi collettivi e processo. La legittimazione ad agire, Giuffrè, Milano, 1979, p. 7).
3 Intendendo queste secondo la definizione fornita da N. Irti, Introduzione allo studio del diritto privato, I, Utet, Torino, 1973: “hanno nome di situazioni giuridiche soggettive i modi, diversi e molteplici, in cui il diritto, nell’ipotesi del verificarsi di certi fatti, valuta i comportamenti umani.”; “Il diritto non comanda astrattamente e categoricamente (come segue nei precetti religiosi ed etici); ma statuisce effetti per l’ipotesi che si verifichi un dato fatto” (p. 35). Cfr. anche L. Bertolini, La tutela giuridica dell’ambiente e del territorio, voce Enti esponenziali di interessi collettivi , tomo I, Maggioli, Rimini, 1987, p. 794 ss.
4 Cfr. R. Federici, Gli interessi diffusi. Il problema della loro tutela nel diritto amministrativo, Cedam, Padova, 1984, p. 94: “Tra le situazioni giuridiche soggettive l’interesse legittimo quella situazione particolarmente complessa posta in relazione con la potestà (il potere dell’autorità) e proprio per questo protetta in modo diverso dal diritto soggettivo, e cioè dalla tipica situazione giuridica a tutela dei cittadini”.
5 Art. 24, comma 1, Cost.: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi ed interessi legittimi””.
6 Art. 103, comma 1, Cost.: “Il Consiglio di Stato e gli altro organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”).
7 Art. 113, comma 1, Cost.: “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa”.
8 Da tale norma, al momento della sua introduzione, era possibile dedurre che “[…] da un lato esistono diritti soggettivi, costituiti dalla legge o mediante contratto, i quali, anche quando sia interessata la pubblica amministrazione, sono tutelabili presso il giudice ordinario; dall’altro, gli interessi non soggetti a tutela sostanziale e pertanto sforniti anche di quella giurisdizionale” (cfr. A. Pabusa, Procedimento amministrativo e interessi sociali, Giappichelli, Torino, 1988, p. 18).
Come è noto, il nostro ordinamento riconosce, e tutela, in forma espressa due categorie di situazioni giuridiche soggettive: il diritto soggettivo e l’interesse legittimo4, entrambe suscettibili di essere ricomprese nella più ampia di interessi pubblici. Detta tutela riceve, significativamente, legittimazione costituzionale in almeno tre luoghi differenti della Carta fondamentale: all’art. 24, comma 15; all’art. 103, comma 16; all’art. 113, comma 17.
Questo sistema duale trova il suo fondamento nella distinzione tra “diritto civile o politico” (art. 2) e “affari non compresi”8 (art. 3) formulata nell’Allegato E alla L. 20 marzo 1865 n° 2248, abolitrice del contenzioso
amministrativo: nonché in almeno altri due luoghi di fonte ordinaria, l’art. 26 del R.D. n° 1054/1924 e l’art. 4 L. n° 1034/19719.
9 Almeno con riferimento agli interessi dei consumatori il Senato della XIV Legislatura ha proposto il d.d.l. n° 3058 (“Disposizioni per l’introduzione dell’azione di gruppo a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti”) con l’obiettivo di inserire nel nostro ordinamento qualcosa di simile alla “class action” statunitense, prevedendo – in modifica alla L. n° 281/1998 – che “Le associazioni dei comsumaori e degli utenti […] possono richiedere […] la condanna al risarcimento dei danni e la restituzione direttamente dovute ai singoli consumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti plurioffensivi commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità previste dall’articolo 1342 del codice civile […] sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti”.
10 Lo sviluppo di queste ricerche ha trovato un notevole spunto nel mutamento di rapporti tra p.a. e cittadino, in un percorso che vede recessiva l’applicazione del principio di legalità in favore dell’amministrazione di risultato. Osserva R. Federici, cit., 150/151: “Laddove l’attività amministrativa è ancora plasmata dal principio fondamentale di legalità, correlato alla potestà è l’interesse legittimo. Quando invece l’attività amministrativa è caratterizzata dagli istituti che fanno riferimento alla ricerca del consenso, la situazione correlata alla potestà è sempre più spesso un interesse che non sarebbe garantito se non si aprisse alla protezione degli interessi diffusi”. L.P. Comoglio, Il I comma dell’Art. 24. Il diritto individuale alla tutela giudiziaria, in Commentario della Costituzione (a cura di G. Branca), artt. 24-26, Zanichelli, Bologna, 1981, p. 4 ss., osserva che “il disegno complessivo, che ne deriva, volgendo lo sguardo al passato dà l’impressione di voler cristallizzare per il futuro, come elementi minimi e irreversibili di legalità, le più significative «conquiste liberali» della legislazione giuspubblicistica post-unitaria, assicurando a tutti (e nei confronti di chiunque, privato cittadino od organo pubblico) l’accesso incondizionato alla giustizia statuale, quale necessario presupposto costituzionale delle forme, concretamente variabili, di tutela dell’individuo. In tale prospettiva, le fattispecie normative, che pur non si sottraggono ad un’inevitabile etero-integrazione d’ordine tecnico, si preannunciano a struttura aperta, rifiutando di recepire concetti rigidi ed immodificabili nel tempo, giacché riflettono le tappe salienti di un’operazione, storicamente relativa, di restaurazione e di ricostruzione, che quelle «conquiste» assume non come punti d’arrivo, ma come punti di partenza per l’attuazione graduale dei nuovi principi di legalità democratica”. L’emersione di interessi “altri” rispetto all’interesse pubblico corrisponde ad una demitizzazione di questo “che acquista rilevanza giuridica concreta solo al termine del bilanciamento tra i molteplici interessi coinvolti nella vicenda amministrativa”, così che “si delinea un rapporto di «proporzionalità» tra l’ampiezza del potere discrezionale attribuito all’amministrazione e l’estensione delle pretese partecipative assicurate dall’ordinamento” (così C. Cudia, La partecipazione ai procedimenti di pianificazione territoriale tra chiunque e interessato, in Diritto pubblico, 1/2008, p. 264)
11 Entrambi qualificati come “situazioni giuridiche metaindividuali” (R. Federici, cit., p. 22) o come “interessi superindividuali” (A. Pizzorusso, Interessi diffusi e loro tutela giuridica. Tutela dell’ambiente, in Regioni e Comunità locali, 1979, p. 162; R. Ferrara, Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale), voce, in Dig. Disc. Pubb., p. 482: l’A. afferma che “[…] accanto ai diritti e alle posizioni di vantaggio tradizionalmente considerati dall’ordinamento sono venuti ad emersione «nuovi diritti» e nuove aspettative, in connessione con originali e più sofisticate domande sociali, tipiche delle società del capitalismo maturo”; Id., Interessi tutelabili, commento all’Art. 26 R.D. 26 giugno 1924 n° 1054, sez. III, par. XII, p. 363 ss., in A. Romano, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Cedam, Padova, 2001, p. 363; V. Domenichelli, Il processo amministrativo, in Mazzarolli, Pericu, Romano, Roversi Monaco, Scoca, Diritto Amministrativo, vol. II., Monduzzi, 2001, p. 1914 ss.), ovvero ancora come “situazioni […] che contengono nella loro struttura elementi superindividuali (B. Caravita, Diritto dell’ambiente, III ed., Il Mulino, Bologna, 2005, p. 271), o come “adespoti” (cfr. M.S. Giannini, Diritto amministrativo, II, Giuffrè, Milano, 1970, p. 592). R. Ferrara, cit., p. 490, definisce “adespota” solo l’interesse diffuso, riferendolo, innanzitutto, al “bene ambiente”; M. Villone, La collocazione istituzionale dell’interesse diffuso (Considerazioni sul sistema statunitense), in AA.VV. La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato, Milano, 1976., definisce l’interesse diffuso come “un personaggio assolutamente misterioso”.
12 Con il quale condividono, “più che con ogni altra situazione giuridica soggettiva”, una “indiscussa somiglianza” per il fatto che “sia gli interessi legittimi, sia gli interessi diffusi possono essere rispettati spontaneamente, oppure calpestati, di massima, dall’attività autoritativa della pubblica amministrazione” (così R. Federici, cit., p. 94).
13 In tema di situazioni giuridiche soggettive la produzione dottrinaria è ampissima. Per quanto riguarda gli studi di teoria generale del diritto, tra i contributi fondamentali si segnala U. Fragola, Le situazioni giuridiche nel diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1939; Santi Romano, La teoria dei diritti pubblici subbiettivi, in Trattato Orlando, I, Milano, Società editrice libraria, 1900, p. 109; E. Casetta, Diritti pubblici subiettivi, voce, in Enc. dir., XII, Milano, Giuffrè, 1964, p. 791); Santi Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, Giuffré, 1947, e di M.S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1950. Per quanto riguarda, più specificamente gli interessi collettivi e diffusi, si segnalano: A. Romano, Interesse legittimo e ordinamento amministrativo, in Atti del Convegno celebrativo
La questione assume rilievo, per i fini che qui ci interessano, poiché, anche con riferimento all’ambiente, si è sviluppato un consistente filone dottrinario e giurisprudenziale che si è occupato di studiare l’esistenza di ulteriori situazioni giuridiche soggettive che potessero essere meritevoli di tutela10.
Ci si riferisce, in sostanza, agli interessi collettivi ed agli interessi diffusi11, il cui principale elemento differenziale rispetto al diritto ed all’interesse legittimo12 consiste nel loro carattere non individuale13, partecipando, in tal senso, della natura dell’interesse pubblico.
del 150 o anniversario dell’istituzione del Consiglio di Stato, Milano, Giuffrè, 1983; Id., I soggetti e le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo, in Mazzarolli, Pericu, Romano, Roversi Monaco, Scoca, Diritto Amministrativo, vol. I., Monduzzi, 2001, p. 341 ss.; V. Vigoriti, cit., p. 25, rifiuta la ricostruzione del complesso interessi diffusi/collettivi in termini di tertium genus rispetto al diritto soggettivo ed all’interesse legittimo. L’A. parla di “diritto soggettivo collettivo” e di “interesse legittimo collettivo”; E. Gabrielli, Appunti su diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi collettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1984, p. 969; M. Nigro, Ma che cosa è questo interesse legittimo? Interrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, col. 469; A. Orsi Battaglini, Attivita` vincolata e situazioni soggettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 3; V. Spagnuolo Vigorita, Situazioni soggettive private e processo amministrativo: per l’attuale difesa dell’interesse pubblico, in Dir. proc. amm., 1988, p. 319; A. Angeletti, L’interesse legittimo tra provvedimento amministrativo e criteri distintivi, in Scritti in onore di M.S. Giannini, III, Milano, Giuffrè, 1988, p. 53; N. Trocker, Interessi collettivi diffusi, voce, in Enc. giur., XVII, Roma, Ist. Enc. It., 1989; P. Salvatore, Il problema della legittimazione: interesse legittimo, interesse diffuso, interesse di fatto, in Studi per il centenario, cit., p. 498; L. Maruotti, La tutela degli interessi diffusi e degli interessi collettivi in sede di giurisdizione di legittimità, in Dir. proc. amm., 1992, p. 254; M. Cresti, Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Milano, Giuffrè, 1992; F. Bassi, Divagazioni sulla nozione di interesse legittimo, in Dir. amm., 1994, p. 105; D. Modesti, Interessi legittimi e posizioni giuridiche individuali. Considerazioni su alcune problematiche sostanziali alla luce della legge n. 241/90 e profili di tutela, in N. rass. ldg., 1999; p. 1546; G. Palma, Le posizioni giuridiche soggettive nell’ordinamento italiano, in Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1999, p. 73; E. Picozza, Le situazioni giuridiche soggettive nel diritto nazionale e in quello comunitario, in Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1999, p. 3.
14 Ci si limita, in questa sede, a richiamare gli studi di W. Cesarini Sforza, Preliminari sul diritto collettivo, ora in Il diritto dei privati, Giuffrè, Milano, 1963, p. 103; E. Betti, Interesse (teoria generale), voce, in Nss. Dig. It.; P.E. Jaeger, L’interesse sociale, Giuffrè, Milano, 1964; R. Pound, A survey of social interest, in Harv. Law Review, 1943, nella traduzione italiana Rassegna degli interessi sociali, nella traduzione italiana in Giustizia, Diritto, Interesse, Il Mulino, Bologna, 1962. L’emersione a livello scientifico della categoria di interessi giuridicamente rilevanti – ulteriori rispetto alla distinzione interesse pubblico/interesse privato affermatasi con l’ideologia liberale diffusasi a partire dalla Rivoluzione Francese – è il riflesso del riconoscimento dell’esistenza di una pluralità di collettività (sul punto, cfr. A. Pizzoruso, cit., p. 161). Sempre in termini di fenomeno sociale argomenta R. Ferrara, cit., p. 483, per il quale “[…] è fuor di dubbio che le modificazioni radicali della società italiana, in consonanza con il suo passaggio da paese agricolo ed arretrato a paese altamente industrializzato, in uno on i conseguenti processi di diffusione della democrazia politica ed economica, hanno moltiplicato le aspettative e i bisogni del cittadino”.
15 Cfr. L. Migliorini, Alcune considerazioni per un’analisi degli interessi pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1968; A. Pizzorusso A., Interesse pubblico e interessi pubblici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972; M. Villone, Interessi costituzionalmente protetti e giudizio sulle leggi, Giuffrè, Milano, 1970. La Corte Costituzionale, con la sentenza n° 247 del 23 luglio 1974 (in Giur. Cost., 1974, 2371), è intervenuta per chiarire che le norme poste a tutela di interessi individuali non possono essere interpretate come volte a tutelare interessi di una collettività.
16 La letteratura sul tema è di notevole ampiezza. Ci si limita ad alcuni, limitati, rinvii: E. Cannada Bartoli, Interesse (diritto amministrativo), voce, in Enc. Dir.; A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Giuffrè, Milano, 1962; M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, Giuffrè, Milano, 1970; AA.VV. La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato, Milano, 1976; C. Dell’Acqua, La tutela degli interessi diffusi, Milano, 1979; A. Cerri, Interessi diffusi, interessi comuni. Azione e difesa, in Diritto e società, 1979, p. 83 ss.; G. Berti, L’interesse diffuso nel diritto amministrativo, in Strumenti per la tutela degli interessi diffusi della collettività, Maggioli Editore, Rimini, 1982. Cfr. anche Angiuli, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale, Napoli, 1986; AA.VV., Diritti ed interessi nel sistema amministrativo del terzo millennio, a cura di Bruno Cavallo, Giappichelli, Torino, 2002. R. Ferrara, cit., 487, fa rilevare che “In un primo momento, infatti, gli interessi superindividuali furono definiti, con fungibilità quasi assoluta, ora come collettivi ora come diffusi (in primo luogo nelle celebrazioni congressuali, in cui la dottrina faceva i conti con un fenomeno relativamente nuovo) per divenire, infine, ora interessi superindividuali ora interessi diffusi della collettività”. Secondo l’A., solo successivamente gli interessi collettivi vennero distinti da quelli diffusi, facendo leva sul fattore ordinatore del procedimento amministrativo “il quale diviene conseguentemente la chiave per qualificare e differenziare un certo tipo di interessi – quelli c.d. collettivi – al cospetto degli altri che sono diffusi perché presenti allo stato fluido e magmatico nella società civile”. È interessante l’approccio che l’A. fornisce relativamente all’emersione dei nuovi diritti: “Le nuove domande sociali – quelle per una diversa  e più elevata qualità della vita – anziché ricevere una sollecita e appagante risposta da parte degli apparti pubblici si scontravano invece con i ritardi e con le resistenze, in primo luogo culturali, dell’amministrazione e della classe politica; e da ciò, a ben vedere, l’esplosione del fenomeno associativo, la diffusione capillare di organismi ed associazioni che si fanno portatori, anche contro la pubblica amministrazione, dei bisogni e degli interessi presenti allo stato diffuso e in forma magmatica nella società civile” (p. 484).
17 In quest’ottica, tutt’ora fondamentali risultano gli studi raccolti nei lavori del Convegno svoltosi a Pavia l’11 ed il 12 giugno 1974, dal titolo “Le azioni a tutela di interessi collettivi”: in relazione a tale evento di studio, si vedano V. Denti, Le azioni a tutela di interessi collettivi, in Riv. dir. proc., 1974, 533 ss.; M.S. Giannini, La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti amministrativi, ivi, 551; V. Cerulli Irelli, Il Convegno di Pavia sulle azioni a tutela di interessi collettivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1974, 1214. Si veda anche R. Federici, ult. op. cit., il quale afferma che “Il II comma
Studiati in maniera approfondita dalla teoria generale del diritto14 e dal diritto pubblico generale15, interessi collettivi e diffusi sono oggetto di ricerca da parte del diritto amministrativo in misura significativa a partire dagli anni ’60 del secolo appena trascorso16, anche in punto di tutela giurisdizionale17, a volte anche lambendo la soglia della normazione costituzionale18.
dell’art. 113 Cost. si esprime chiaramente per un concetto ampio ed elastico di situazioni giuridiche soggettive, tanto da vietare espressamente l’esclusione o la limitazione dell’impugnativa degli atti e provvedimenti della P.A. a particolari mezzi o per determinate categorie di atti” (p. 148) e che “Tenuto presente che il medesimo effetto della esclusione dall’impugnazione per categorie di materie e di atti può essere raggiunto con il criterio dell’interpretazione riduttiva delle situazioni giuridiche soggettive, si deve ritenere che queste concezioni restrittive siano in contrasto con la Costituzione” (p. 149): ciò in conformità anche ai lavori dell’Assemblea Costituente. Si veda anche V. Domenichelli, Il processo amministrativo, cit., p. 1914: secondo l’A. “Le questioni vere sorgono quando la norma non soggettivizzi propriamente l’interesse, ma tuttavia lo consideri e lo protegga o ne affidi la tutela all’Amministrazione pubblica: in tal caso, si tratta di contemperare la struttura ormai acquisita del processo amministrativo come processo di parti, diretto cioè a tutelare interessi personali e individuali lesi dall’Amministrazione (e non già il mero interesse alla legalità), con le esigenze del modello contemporaneo di far valere attraverso il processo (amministrativo) non solo il proprio singolare interesse nei confronti dell’Amministrazione, ma anche quello dei soggetti che abbiano interessi eguali, in quanto appartenenti ad un gruppo o ad una categoria riconoscibile o ad una formazione sciale (se non addirittura come appartenenti alla generalità dei cittadini”).
18 F.G. Scoca, in un intervento al Convegno Interdisciplinare di studio sul tema “Dritto all’ambiente e diritto allo sviluppo” (in Atti, Giuffrè, Milano, 1995), riferisce di una proposta di legge costituzionale rivolta a modificare l’art. 24 Cost. nel seguente testo “Tutti possono chiedere un giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e secondo condizioni e modalità stabilite dalla legge per la tutela degli interessi diffusi e degli interessi collettivi”. L’A. ritiene “pericoloso che venga cambiato l’art. 24 della Costituzione, inserendo, nel novero delle situazioni giuridiche soggettive, accanto ai diritti e agli interessi legittimi, anche gli interessi diffusi o gli interessi collettivi”(p. 262).
19 La Quarta Sezione del Consiglio di Stato venne istituita con L. 31 marzo 1889 n° 5992.
20 Cfr. A. Pabusa, cit., p. 74, nota n° 5: “La gerarchia fra diritti ed interessi viene resa più complessa dalla riforma dell’89, in conseguenza della quale fra gli interessi viene enucleata la figura dell’interesse legittimo (tutelato davanti alla IV sezione del Consiglio di Stato) in contrapposizione all’interesse semplice, sfornito di qualsiasi tutela”.
21 Cfr. Ferrara R., cit., p. 485: “[…] almeno sul piano empirico se non su quello strettamente tecnico-giuridico, l’interesse legittimo e quello superindividuale si profilano come i due rovesci della medaglia, come due entità ontologicamente agli antipodi, almeno all’apparenza: il primo è, per costante insegnamento dottrinario e giurisprudenziale, una situazione di vantaggio a carattere materiale, qualificata, personale e, soprattutto, differenziata, essendo riferibile ad un preciso soggetto il quale diviene per ciò solo legittimato all’impugnazione, allorché possa egualmente vantare l’interesse processuale al ricorso; l’interesse superindividuale è invece, per definizione, magmatico e indifferenziato, potendo radicarsi presso collettività oltremodo vaste e, persino, presso l’intera collettività dei cittadini. L’interesse legittimo è in effetti la situazione di vantaggio tipica del cittadino uti singulus, quella sulla cui immagine si è concretamente modellato il processo amministrativo tradizionale, finalizzato alla tutela delle situazioni attive del cittadino; l’interesse superindividuale origina invece dalla necessità di dare corpo e sostanza alle pretese non riferibili ad uno specifico soggetto, perché sono di tutti i comunque di cerchie indifferenziate e non determinabili di cittadini”. 
22 Così da rientrare tra i c.dd. “diritti della personalità” (così Postiglione A., L’azione civile in difesa dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pubbl., 1987, p. 303; Patti S., Diritto dell’ambiente e tutela della persona, in Giur. It., 1980, I, 1, p. 859.
23 Cfr. P. Mantini, Associazioni ambientaliste e interessi diffusi nel procedimento amministrativo, Cedam, Padova, 1990, p. 240: “[…] diversamente che per gli interessi di natura economica e patrimoniale […] sussistono nella carta costituzionale diritti fondamentali e valori che sono assunti come prioritari ed imprescindibili ai fini dello sviluppo della persona umana (cosiddetto principio personalista ex art. 2 Cost.)”.
24 Il secondo comma dell’art 3 Cost. è stato interpretato solo in un secondo momento come principio a piena efficacia giuridica, anche come reazione alla tendenza che prevaleva in Assemblea Costituente a riconoscere al principio di uguaglianza sostanziale valore di petizione filosofica e moralistica (cfr., sul punto, G.M. Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Giuffrè, Milano, 1967; P. Grossi, Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella
Occorre precisare che dimensione sostanziale e dimensione processuale degli interessi “altri” – rispetto al diritto soggettivo ed all’interesse legittimo – sono strettamente collegate: in particolare, l’emersione degli interessi semplici avviene nel momento in cui la loro giuridicizzazione ne consente la giustiziabilità.
La legge abolitrice del contenzioso amministrativo ha limitato ai soli diritti soggettivi la possibilità di tutela giudiziaria. Solo successivamente, con l’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato nel 188919, il legislatore ha ampliato il novero delle situazioni giuridiche soggettive conoscibili da parte di un giudice, aggiungendo gli interessi legittimi: tuttavia, restavano ancora fuori dal catalogo gli interessi semplici20.
Con l’emanazione della Carta Costituzionale, essi hanno trovato, al pari di diritti soggettivi ed interessi legittimi21, una copertura costituzionale22 – seppur implicita – ricavabile da una lettura complessiva dei principi di garanzia dei diritti inviolabili (art. 2 Cost.23) e di uguaglianza sostanziale e di partecipazione (art. 3 Cost., comma 2)24.
costituzione italiana, Cedam, Padova, 1972; L. Paladin, Il principio costituzionale d’eguaglianza, Giuffrè, Milano, 1965; C. Rossano, L’eguaglianza giuridica nell’ordinamento costituzionale, Jovene, Napoli, 1966.
25 Guarino G., cit., p. 176 afferma che “La nozione di interesse diffuso ha una importanza notevole perché conferma che non è l’individuo ad esistere per l’organizzazione, ma è l’organizzazione in funzione dell’individuo. L’organizzazione non avrebbe ragion d’essere se non riuscisse ad assicurare agli individui, a tutti gli individui, alcuni beni fondamentali. Si assiste quindi alla tendenza ad allargare, in via interpretativa, l’ambito di qualcuna delle categorie di interessi, protetti dalla Costituzione, in modo che, ad esempio, dalle nozioni più ristrette di «paesaggio» e «patrimonio storico ed artistico» si passi ai concetti, ben più ampi, di «beni culturali» e di «qualità della vita» nei quali sarebbero compresi anche beni quali le strutture urbane, l’aria, le acque, il suolo, la silenziosità, e così via”.
26 Per A. Pizzorusso, cit., p. 162, nel caso dell’interesse collettivo “[…] l’interesse superindividuale trova un punto di riferimento nella comunità dei titolari di esso, con conseguente possibilità di investire l’ «ente esponenziale» di questa, dotato o meno che sia di «personalità giuridica» in senso tecnico, del compito di curarne la tutela”; nel caso dell’interesse diffuso “[…] tale possibilità manca perché i titolari dell’interesse diffuso costituiscono una collettività disorganizzata e spesso addirittura in suscettibile di organizzazione (talvolta infatti non è possibile neppure l’identificazione di tutti gli appartenenti alla collettività di cui trattasi)”. P. Virga, Diritto amministrativo, II, Giuffrè, Milano, p. 189, distingue fortemente interessi collettivi e interessi diffusi, sul rilievo che dei primi sarebbero titolari lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali, che in ragione della loro natura di “enti politici” sono da considerasi soggetti cui imputare tutti gli interessi pubblici della comunità che rappresentano.
27 Sul complessivo rapporto diritto soggettivo-interesse legittimo-interesse collettivo-interesse diffuso cfr. A. Pabusa, Procedimento amministrativo e interessi sociali, Giappichelli, Torino, 1988, il quale riporta la distinzione di Lavagna (“Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella costituzione italiana”, in Studi economico-giuridici della Facoltà di giurisprudenza di Cagliari, Padova, 1953, p. 14 ss) delle situazioni giuridiche soggettive in due classi, relative alla “posizione generale dell’individuo nell’ordinamento” e ad alcuni aspetti essenziali della vita dell’individuo”, suddividendo la prima classe in tre ulteriori e la seconda classe in ulteriori quattro.
28 C. Dell’Acqua, cit., p. 176, è il principale interprete della tesi – minore in dottrina – che rinviene una differenza ontologica tra interessi collettivi ed interessi diffusi, basandosi sul fatto che questi ultimi sono “caratterizzati dall’unico elemento comune della contitolarità  di situazioni di interesse da parte di pluralità di soggetti non identificati o identificabili in base alla preesistenza di rapporti giuridici rispetto al bene”. Per B. Caravita, cit., p. 270, “Questi interessi sarebbero generali, ma non pubblici, in quanto affianco alla loro imputazione all’ente autoritativo (semprechè esistente) rimarrebbe lo spazio per un’autonoma imputazione (e gestione da parte di) a soggetti privati e la loro tutela potrebbe essere esercitata – anche individualmente – attraverso tecniche di tipo garantistico”.
29 Parte della dottrina afferma che l’interesse diffuso è qualcosa di differente rispetto all’interesse legittimo, e che l’interesse collettivo non è la semplice somma di interessi individuali (U. Pototschnig U., in A.A. V.V., Le azioni a tutela degli interessi collettivi, Cedam, Padova, 1976, p. 326).
30 Secondo R. Federici, cit., p. 20/21, “È da contestarsi comunque che la diversità individuata nel grado di organizzazione degli interessi ([…] maggiore negli interessi collettivi e minore negli interessi diffusi) porti a ritenere meritevoli di tutela solo gli interessi collettivi e non meritevoli di garanzia giuridica gli interessi diffusi”. Lo stesso A. (cit., p. 20) sostiene che “Il criterio del grado di organizzazione è irrilevante per distinguere gli interessi di tipo collettivo dagli interessi diffusi. Ciò che li distingue, in diritto positivo, si riferisce agli stessi argomenti che reggono la separazione tra diritti soggettivi e interessi legittimi. […] sembra corretto parlare di interessi diffusi nel diritto amministrativo e di interessi collettivi nel diritto privato. Ritenuta ammissibile la tutela processuale anche per le situazioni giuridiche metaindividuali, essa compete alla giurisdizione amministrativa o a quella civile a seconda che l’attore si dolga dell’illegittimo esercizio (non esercizio) della potestà o del danno antigiuridico”. Ferrara R., cit., afferma che “[…] l’interesse collettivo […] finisce col divenire una variante dell’interesse legittimo, e neppure particolarmente originale” (p. 487); e che “Il fatto poi che l’interesse collettivo, dal punto di vista della struttura, si profili come un interesse legittimo tipico sembra essere confermato dal rilievo che la legittimazione a ricorrere è accordata al soggetto collettivo in quanto tale, ossia quando questo faccia valere nel processo amministrativo un interesse suo proprio, e non già quello dei singoli associati o iscritti appartenenti al gruppo sociale interessato” (p. 488).
Interessi collettivi e diffusi25, tradizionalmente ricostruiti in termini dogmatici come separati dall’interesse pubblico e dall’interesse legittimo, altrettanto  tradizionalmente sono tra loro differenziati – sebbene accomunati sotto un profilo qualitativo – avendo come riferimento un criterio quantitativo e fattuale: sarebbero collettivi quegli interessi che riescono ad assurgere ad una dimensione tale da costituire almeno oggetto di attività di un ente esponenziale; mentre sarebbero diffusi tutti gli altri interessi i quali, benché rilevanti a vario titolo nell’ordinamento, non possono – o non possono ancora – vantare un soggetto che ne rivendichi l’esistenza e la tutela26.
Sicché interessi collettivi e diffusi27 sarebbero identici nel loro contenuto sostanziale28 ma differenti nel loro relazionarsi con la comunità29: per i primi assume fondamentale rilievo, ai fini del riconoscimento di tutela, la loro riferibilità ad un’associazione30.
Riconoscere, ed attribuire, dignità di situazione giuridica soggettiva31 agli interessi collettivi e diffusi produce almeno due implicazioni di assoluto rilievo, sul piano procedimentale e sul piano giurisdizionale.
31 Operazione, questa, non condivisa da tutta la dottrina. Tra i più critici cfr. G. Lombardi, Diritto all’ambiente e diritto allo sviluppo, cit., p. 284, per il quale “Gli interessi diffusi sono […] «un mostro giuridico» […] roba da Terzo Mondo”. L’A. critica la possibilità di inserire interessi collettivi e diffusi nel catalogo delle situazioni giuridiche soggettive nominate in Costituzione, rilevando che nei Paesi ove essi trovano riconoscimento giuridico ciò avviene sotto forma di riconoscimento di diritti nella carta fondamentale. Ne consegue che la situazione è troppo diversa dall’ordinamento nazionale per poter essere esportabile.
32 Sul punto, cfr. A. Pizzorusso, cit., p. 163.
33 L’Art. 9 L. n° 241/90 attribuisce un potere di intervento a “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento”. Tale intervento si estrinseca nella possibilità di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti. La facoltà di cui alla norma in esame sarebbe limitata dal fatto che il soggetto esponenziale rientri tra quelli riconosciuti ex Art. 13 L. n° 349/1986: altrimenti, la giurisprudenza tende ad escludere la partecipazione al procedimento delle associazioni non riconosciute (cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sentenza 3 aprile 1996 in Riv. giur. amb., 1997, p. 140; T.A.R. Lazio, sez. III, sentenza 22 aprile 1992 n° 433, in T.A.R., 1992, I, p. 1838).   
34 L’art. 10 L. n° 241/90 prevede che l’amministrazione “ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento” le memorie ed i documenti presentati dai soggetti abilitati a partecipare al procedimento. A. Maestroni, I recenti orientamenti dei giudici amministrativi sulla partecipazione al procedimento amministrativo e sulla legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste, in Riv. giur. amb., 2001, p. 309, afferma che “[…] l’azione delle associazioni ambientaliste rende doverosa, da parte della pubblica amministrazione, una motivazione esauriente dei provvedimenti amministrativi in tema di ambiente, che quindi si addentri nell’esame delle osservazioni presentate dalle predette associazioni, anche solo al limitato fine di respingerle” (adesivo, R. Fuzio, Diritto all’informazione e diritto alla partecipazione nella gestione del vincolo paesaggistico e degli altri interessi ambientali. Il ruolo delle associazioni ambientaliste, in Riv. giur.amb., 1991, p. 455).
35 G.F. Scoca, Tutela dell’ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell’interesse diffuso da parte dei giudici amministrativo, civile e contabile, in Dir. soc., 1985, p. 637, afferma che la partecipazione procedimentale deve essere considerata come momento di giuridicizzazione dell’interesse diffuso, “che in tal modo assurge a interesse collettivo, o legittimo, e diviene quindi degno di tutela giurisdizionale, a prescindere dal riconoscimento ministeriale o meno dell’associazione che ne è portatrice” (A. Maestroni, cit., p. 308).
36 In dottrina di distinguono le forme di partecipazione in considerazione della finalità di questa: partecipazione popolare, partecipazione col abortiva, partecipazione difensiva. Per una ricostruzione sul tema cfr. C. Cudia, cit., p. 270.
37 Il diritto all’informazione ambientale ha ricevuto pieno riconoscimento solo con la L. n° 349/1986, il cui art. 14 assegna al Ministero dell’ambiente compiti di promozione dell’informazione ambientale , nonché di difensore del diritto all’informazione esercitatile da “qualsiasi cittadino”. Il diritto all’informazione ambientale, come – peraltro – ogni diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, è sottoposto a dei temperamenti in caso di segreto (sul punto, si veda il contributo di A. Postiglione, Informazione, segreto e ambiente, in Riv. giur. amb., 1986, 525 ss.
38 Cfr. L. Maruotti, La tutela degli interessi diffusi e degli interessi collettivi in sede di giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: questioni di giurisdizione e selezione dei soggetti legittimati all’impugnazione, in Studi in memoria di Franco Piga, vol. I, Giuffrè, Milano, 1992, p. 635/636.
39 Cfr., in senso affermativo T.A.R. Veneto, sez. I, sentenza 16 dicembre 1998 n° 2509; contra T.A.R. Umbria, sentenza 19 agosto 1996 n° 304. Il problema non si pone affatto in relazione agli enti esponenziali pubblici (ordini e collegi professionali). In relazione alla tutela dell’ambiente si vedano Cons. St., sez. VI, sentenza n° 378/1989; Cons. St., sez. IV, sentenza n° 308/1986; Cons. St., sez. IV, sentenza n° 309/1986. L’automatico riconoscimento della legittimazione
Sotto il primo aspetto, i soggetti portatori di tali interessi si vedono attribuito un diritto di partecipazione32 al procedimento amministrativo33, che si traduce in un correlato dovere di motivazione in capo all’amministrazione34. Ciò è particolarmente apprezzabile proprio in relazione allo specifico tema oggetto della presente indagine35.
L’intervento procedimentale36 – il cui embrione può essere individuato nel diritto all’informazione37, disciplinato anche dalla procedura di v.i.a. che si esaminerà nel prosieguo – può essere distinto in “qualificato” e “non qualificato”38 a seconda che sia consentito presentare (indipendentemente dal fatto che, in concreto, tale potere venga esercitato) memorie scritte pertinenti all’oggetto del procedimento oppure no: in ogni caso, l’intervento assume un ruolo importante con riferimento ai rapporti con la legittimazione processuale: in relazione al fatto se la partecipazione procedimentale sia sufficiente a radicare la successiva legittimazione processuale oppure no39; se a fronte del
ad agire da parte dell’associazione che ha partecipato al procedimento al cui esito è stato adottato il provvedimento impugnato, rischia di violare il principio dell’accertamento dell’interesse ad agire in concreto, essendo possibile che l’associazione – che ha partecipato, magari, in funzione semplicemente consultiva – non si veda incisa negativamente dal provvedimento (interpretazione riconosciuta da T.A.R. Liguria, sezione I, sentenza 19 marzo 2003 n° 354, che ha riconosciuto la legittimazione ad agire ad un’associazione ambientalistica in sede di impugnazione del provvedimento di commissariamento di un ente parco regionale, muovendo dal rilievo costituivo della partecipazione della predetta associazione al procedimento di nomina dei membri componenti gli organi dell’ente parco. Sul rapporto partecipazione/sindacabilità cfr. S. Cognetti, “Quantità” e “Qualità” della partecipazione. Tutela procedimentale e legittimazione processuale, Giuffrè, Milano, 2000: “L’esigenza del collegamento fra procedimento amministrativo e processo amministrativo non si pone, soltanto con riferimento al criterio di legittimazione fondato sulla giuridicità della situazione soggettiva in relazione al particolare carattere (personale, diretto ed attuale) che connota o meno il rapporto fra un bene della vita e il suo portatore, ma può anche porsi con riferimento al criterio di legittimazione fondato, invece, sul riconoscimento da parte dell’ordinamento di una posizione di vantaggio a favore di alcuni soggetti che, rispetto agli altri, rispondono a determinati requisiti. Anche riguardo a questa ipotesi ulteriore, una diversa disciplina giuridica sulla legittimazione del procedimento amministrativo e nel processo giurisdizionale amministrativo appare assolutamente inaccettabile, ancorché l’attuale normativa sembri proprio avallare tale disparità con specifico riferimento ai c.d. portatori di interessi collettivi” (p. 58-59); P. Mantini, Associazioni ecologiste e tutela giurisdizionale dell’ambiente. Aspetti e problemi, in Associazioni ecologiste e tutela giurisdizionale dell’ambiente, a cura di Nicola Assini e Pierluigi Mantini, Maggioli, Rimini, 1990, p. 69 ss.  
40 In senso favorevole, si è espresso Cons. St., Ad. Plen., decisione 27 novembre 1989 n° 16.
41 L’uso del modo condizionale è dovuto al fatto che esiste un nutrito orientamento giurisprudenziale (per tutti cfr. T.A.R. Umbria, sentenza 19 agosto 1996 n° 304, in T.A.R., 1996, I, p. 3799. che consente la partecipazione dei soggetti portatori di interessi diffusi al procedimento ma ne esclude la titolarità dell’azione “in considerazione della ritenuta assenza di reciproca interferenza tra contraddittorio procedimentale e processuale” (Maestroni, cit., p. 310). A. Romano, Il Giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi diffusi, in AA. VV., Rilevanza e tutela degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e protezione degli interessi della collettività, Milano, 1978 afferma, esaminando gli Artt. 24, 103, 113 Cost, che “le norme costituzionali in esame, in tutta evidenza, sono state formulate in funzione garantistica: il costituente ha voluto che ai titolari degli interessi legittimi, comunque questa nozione venga delineata, fosse garantita la possibilità di adire il giudice amministrativo. Ma, come tutte le norme di garanzia, essa impone un minimo, non preclude un più” (p. 52); e che “L’essere il giudice amministrativo organo di giurisdizione contenziosa, e non di controllo, esige che esso eserciti la sua funzione su ricorso, dunque su domanda mossa dall’interesse di parte. Ma in presenza di un ricorso che gli chiede di sindacare la legittimità dell’attività amministrativa, di decidere una controversia al riguardo, non ci pare costituzionalmente coerente che esso rinunci a sindacare, rinunci a decidere, perché l’interesse che è alla base del ricorso non è sufficientemente individualizzato, o specificamente connesso col vizio dell’atto che viene denunciato. È nell’estensione sotto tali profili della sua funzione, che il giudice amministrativo deve arrivare a tutelare anche gli interessi c.d. diffusi: degli interessi che sono si debolmente individualizzati, ma nei quali lo sbiadimento dei profili individualistici corrisponde un’accentuazione dei profili di rilevanza sociale” (p. 56).
42 Si pensi alle questioni relative alla legittimazione ad agire in giudizio, all’efficacia della sentenza.
43 Cfr. G. Berti, Interessi senza struttura (I c.d. interessi diffusi), in Studi in onore di Antonio Amorth, vol I, Milano, 1982, p. 75 ss.: “[…] il processo davanti al giudice amministrativo ha per oggetto un provvedimento già adottato, modellato sullo stampo degli effetti formali dell’atto amministrativo […] l’interesse diffuso potrebbe trovare ingresso (o legittimazione sostanziale) nel giudizio amministrativo solo se questo giudizio si modellasse come giudizio su fatti e non su provvedimenti […]”
44 Tale metodo di ricerca è stato individuato da G. Recchia, Considerazioni sulla tutela degli interessi diffusi nella Costituzione, in AA.VV., La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato. Con particolare riguardo alla protezione dell’ambiente e dei consumatori, Giuffrè, Milano, 1976, p. 33: afferma l’A. che “L’opportunità di fare riferimento a interessi rilevanti in maniera «esplicita» oppure «implicita» scaturisce anche dalla considerazione che gli interessi diffusi rilevanti a livello costituzionale sono numerosi […] D’altra parte è chiaro come, pur ammettendo l’esistenza di una pluralità di interessi diffusi, non tutti gli interessi delle collettività possono essere considerati come costituzionalmente rilevanti”, ivi, pag. 37, nota 21.
diritto di partecipazione si configuri una legittimazione ad impugnare il provvedimento che non abbia tenuto conto delle osservazioni presentate; se possa costituire motivo di ricorso la violazione delle norme inerenti la disciplina dell’intervento40.
Sul piano giurisdizionale, ne consegue che in capo al soggetto portatore dei predetti interessi si dovrebbe radicare la titolarità dell’azione41, con gli evidenti problemi connessi al regime processuale vigente nel nostro ordinamento42 nonché, più specificamente, al fatto che il processo amministrativo è un processo su atti e non un processo su rapporti43.
Uno dei temi centrali degli studi è stata sicuramente la ricerca di quali fossero gli interessi diffusi tutelati a livello costituzionale, condotta distinguendo tra tutela “esplicita” e tutela “implicita”44 ed avuto riguardo all’individuazione del
momento di emersione dei predetti interessi45 ed alla distinzione tra interesse collettivo ed interesse pubblico46: tra gli interessi a tutela esplicita figurano la tutela della salute47 (art. 32, comma 1, Cost.48), la tutela del paesaggio49 (art. 9, comma 2, Cost.50), la tutela delle condizioni del lavoro51 (art. 4 Cost.); tra quelli la cui tutela risulta dal combinato disposto di diverse norme costituzionali52, figurano sicuramente l’interesse alla tutela dell’ambientale (art. 9, comma 2; art. 32 Cost.)53, all’informazione, allo studio, all’abitazione (art. 30; art. 36, comma 5; art. 47 Cost.)54.
45 Individuato da alcuni come momento intermedio tra l’interessi individuale e l’interesse pubblico (così W. Cesarini Sforza cit., p. 103-104), mentre altri ritengono una simile ricostruzione “eccessivamente schematica ed astratta” (S. Pugliatti, Diritto pubblico e privato, voce, in Enc. Dir. ).
46 Una distinzione immediatamente percepibile è quella quantitativa, che consente di differenziare l’interesso pubblico da quello collettivo per il solo fatto che quest’ultimo attiene ad una pluralità di soggetti identificabile tuttavia con una comunità minore rispetto a quella statale in cui è inserita. Sul tema delle comunità intermedie cfr. Santi Romano, L’ordinamento giuridico, Firenze; W. Cesarini Sforza, Ordinamenti giuridici (pluralità degli), voce, in Nss. Dig.; P. Rescigno, Persona e Comunità, Il Mulino, Bologna, 1966; E. D’Albergo., Riflessioni sulla storicità degli ordinamenti giurdici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1974; S. Cassese, La formazione dello stato amministrativo, Giuffrè, 1974.  
47 Cfr. M.S. Giannini, La tutela della salute come principio costituzionale, in Inadel, 1960, 613; S. Lessona, Salute pubblica e diritto sanitario, in Riv. bim. dir. san., 1962, 7; L. Carlassare, L’art. 32 della Costituzione e il suo significato, in Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Neri Pozzi Ed., Milano, 1967, 105 ss.
48 Art. 32. Cost.: “: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
49 Tale norma, a causa della sua collocazione tra i principi fondamentali e della indeterminatezza del precetto in essa recato, è stata inizialmente definita come norma di principio (cfr. M. Mazziotti, Il diritto di lavoro, Giuffrè, Milano, 1958, 37; V. Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Giuffrè, Milano, 1952, 36). Solo successivamente, alla luce della missione dello Stato di provvedere non solo ai bisogni materiali ma di assicurare anche il pieno sviluppo – quindi intellettuale e culturale – della persona, le è stata riconosciuta l’effettiva rilevanza (E. Spagna Musso, Lo stato di cultura nella Costituzione Italiana, Jovene, Napoli, 1961; M.S. Giannini, «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, 15). Sulla tutela del paesaggio di vedano i lavori di A. Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969; U. Pototschnig, Lotta all’inquinamento e pubblica amministrazione, in Dir. ed econ., 1971, 320 ss.; M.P. Chiti, P. Moneta, Contributo allo studio degli strumenti giuridici per la tutela del paesaggio, in Foro Amm., 1971, III, p. 1045; M.S. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv  trim. dir. pubbl., 1973, p. 15.
50 Art. 9, comma 2, Cost.: “La Repubblica […] tutela il paesaggio”.
51 Cfr. G. Giugni, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Giuffrè, Milano, 1960.
52 Alcuni Autori ritengono che la tutela implicita sia semplicemente ricavabile dalla lettura degli articoli 9, 32, 52 e 54 della Costituzione (così G. Guarino, L’organizzazione pubblica, Parte prima, Giuffrè, Milano, 1977, p. 175-177).
53 Sul diritto all’ambiente R. Federici, cit., afferma che “L’interesse dell’utente dell’ambiente e dei beni culturali si fonda invece sull’esigenza al rispetto di una situazione da parte degli altri membri della collettività. Gli interessati alla legittimità dell’attività amministrativa o alla liceità dell’attività dei privati, in materia di ambiente e di beni culturali, possono trarre la posizione legittimante del diritto o dall’interesse alla salute, dal diritto all’uso civico di beni immateriali, dal diritto di esercizio di un’attività particolare di servizio sociale (ambientale e culturale) dal diritto di insediamento abitativo” (p. 15). Si veda anche P. Mantini, Lezioni di diritto pubblico dell’ambiente, Cedam, Padova, 1991, p. 34-35.
54 Cfr. A. Villani, La politica dell’abitazione, Franco Angeli, Milano, 1970; A. Dadio, La lotta per la casa, Feltrinelli, Milano, 1974; T. Martines, Il «diritto alla casa», in Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, a cura di N. Lipari, Laterza, Bari, 1974.
55 Osserva G. Recchia, ult. op. cit., p. 66, che “La rilevanza, a livello costituzionale, di interessi diffusi come quello per la tutela del paesaggio,e dell’ambiente, non è sufficiente per individuare – in maniera completa – il contenuto di questi interessi nell’ambito dell’ordinamento. Infatti la normativa costituzionale, per sua propria natura si ferma alle linee generali e alle idee direttive che devono essere «concretizzate» ed adeguate al momento storico”. 
Tali interessi, pur essendo suscettibili di ricevere una differente tutela per ciascuno di essi, godono tuttavia di un comune standard derivante dall’applicazione dell’art. 2 (garanzia dei diritti inviolabili) e dell’art. 3 Cost. (nell’affermazione del principio di eguaglianza sostanziale). Proprio relativamente agli strumenti di tutela emergono le maggiori difficoltà, nel senso che le linee programmatiche tracciate a livello costituzionale devono ricevere un’applicazione concreta55: operazione che deve interessare, oltre il legislatore,
anche il giudice costituzionale, nella sua funzione interpretatrice dei principi espressi nella Carta fondamentale56.
56 Osserva G. Recchia, ult. op. cit., p. 66, che “La funzione della Corte costituzionale quindi è notevole, in quanto mediante un’interpretazione dinamica, costruttiva e creativa riesce a individuare il contenuto e a specificare l’oggetto della normativa. Sulla funzione creatrice della costituzione materiale assegnata alla Consulta si veda, per tutti, E. Pierandrei, L’interpretazione della costituzione, in Studi di diritto costituzionale in memoria di L. Rossi, Giuffrè, Milano, 1952. In tema di ambiente cfr. G. Di Plinio, La costituzione materiale dell’ambiente, in AA.VV., Principi di diritto ambientale, Giuffrè, Milano, 2002, p. 31 ss.
57 In particolare, M. Cresti, cit., p. 55, affronta “[…] la questione se debba parlarsi o meno di una trasformazione in interesse collettivo dell’interesse diffuso, qualora di questo si faccia portatrice un’associazione”. Si veda anche P. Mantini, Associazioni ambientaliste e interessi diffusi nel procedimento amministrativo, Cedam, Padova, 1990, p. 232-233; cfr. anche L. Bertolini, cit., p. 1088 ss., il quale afferma che gli “[…] interessi collettivi o diffusi […] intanto possono ricevere tutela in quanti siano elevati dall’ordinamento giuridico al valore di veri e propri diritti soggettivi pubblici.”.
58 In dottrina, cfr. M.S. Giannini, op. ult. cit.,: l’A., in afferma che “i beni ambientali sono complessi di cose che racchiudono quel che potrebbe dirsi un valore collettivo” e che “non è che ciascuna delle cose che compongono il complesso costituisca base per due beni in senso giuridico; è invece dal complesso delle cose che si esprime un valore a sé stante, che va a costituire il bene (in senso) giuridico ambientale”. Cfr. anche A. Amato, I diversi regimi per responsabilità civile per danni all’ambiente. Profili sostanziali e processuali, Cacucci Editore, 2003; P. Maddalena, Il danno ambientale tra giudice civile e giudice contabile, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 445 ss.; G. Cocco, Tutela dell’ambiente e danno ambientale. Riflessioni sull’art. 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349, in Riv. giur. amb., 1986, p. 490; C. Malinconico, I beni ambientali, in Trattato di diritto amministrativo diretto da Santaniello, Padova, 1991, p. 9, il quale richiama i lavori della c.d. “Commissione Franceschini”. In giurisprudenza cfr. Corte Cost., sentenza 17 dicembre 1987 n° 641, in www.giurcost.org, per la quale “L'ambiente é stato considerato un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell'insieme, sono riconducibili ad unità. Il fatto che l'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l'ordinamento prende in considerazione” (punto 2.2 paragrafi 11 e 12 della parte in diritto); Corte Cost, sentenza 24 febbraio 1992 n° 67, in www.giurcost.org, che ha ribadito che “La ratio della scelta sta nella valutazione che l'integrità ambientale è un bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va pertanto salvaguardato nella sua interezza” (punto 2, paragrafo 3, della parte in diritto); Cass. civ., sentenza 9 aprile 1992 n° 4262, in Mass. giust. civ., 1992, per la quale l’ambiente “si distingue ontologicamente da questi [i singoli beni che lo compongono: n.d.r.] e si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressiva di un autonomo valore espressivo costituente, come tale, specifico oggetto di tutela da parte dell’ordinamento”. La concezioni unitaria di ambiente emerge anche dall’art. 18 della L. n° 349/1986, in cui la fattispecie di illecito ambientale è “comprensiva di ogni lesione del bene ambiente, sia sotto il profilo estetico e del paesaggio, sia sotto quello dell’inquinamento o sotto quello, ancora, della preservazione dell’assetto del territorio” (cfr. C. D’Orta, Ambiente e danno ambientale: dalla giurisprudenza della Corte dei Conti alla legge sul Ministero dell’Ambiente, in Riv. trim. dir. pubbl., 1987, p. 85.
59 Tra questi, per tutti si veda M. Libertini, La nuova disciplina del danno ambientale e i problemi generali del diritto dell’ambiente, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 547: afferma l’A. che “ […] non è possibile parlare di «ambiente» come bene giuridico unitario. Infatti, rispetto all’ambiente naturali, sono disparati gli interessi umani presi in considerazione dal diritto e in corrispondenza sono numerose e differenti le posizioni giuridiche individuabili” (555-556). In giurisprudenza cfr. Cons. St., sentenza 11 aprile 1991 n° 257, in Riv. giur. amb., 1992, p. 130, la quale richiama “[…] la dottrina più qualificata la quale nega a ragione l’esistenza di un «bene ambiente», come autonoma categoria giuridica, direttamente tutelabile nella sua globalità, e nella tutela dell’ambiente ravvisa piuttosto il risultato ultimo al quale può
Per quanto riguarda l’interesse ambientale, una vola enucleata in dottrina la sua sussistenza come interesse diffuso57, possono distinguersi due filoni di ricerca: un primo si è concentrato sulla delimitazione della nozione di ambiente, un altro si è interessato alle associazioni a carattere ambientale sia per definire la loro legittimazione a partecipare a procedimenti amministrativi involgenti – a vario titolo – l’ambiente sia la loro legittimazione ad agire in giudizio a difesa dell’ambiente.
Quanto alla nozione di ambiente, necessaria al fine di conoscere l’oggetto della tutela sub specie di interesse diffuso, le posizioni dottrinarie si sono espresse soprattutto in relazione alla questione del danno ambientale, per tracciare una linea di demarcazione tra ciò che fosse risarcibile e ciò che non lo fosse.
Si sono formate, in sostanza, due linee di interpretazione, tra quanti hanno assegnato all’ambiente valore di bene giuridico unitario58 e quanti – in minoranza – l’hanno negato59. Altri, ancora, hanno parlato di ambiente in termini di “valore costituzionale”60.
condurre un’incisiva azione amministrativa condotta a tutela dei diversi beni che, secondo l’eccezione comune, in tale nozione rientrano. In altri termini, la tutela dell’ambiente – lungi dal costituire un autonomo settore di intervento dei pubblici poteri – finisce per assumere il ruolo di momento unificante e finalizzante le distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei beni della vita che nell’ambiente si collocano”.
60 Cfr. S. Marchese, Legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste riconosciute nel processo amministrativo e concetto giuridico di ambiente, in Riv giur amb., 2002, 3/4, p. 527 ss. (cfr. anche la giurisprudenza richiamata dall’A. in nota 8).
61 Cfr. Corte Cost., sentenza 20 dicembre 1988 n° 1108, in Riv. giur. amb., 1989, p. 357. 
62 La legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche merita di essere analizzata nel particolare contesto del processo amministrativo, nel quale – ex art. 26 R.D. n° 1054/1924, nonché ex art. 4 L. n° 1034/1971 – possono trovare ingresso solo diritti ed interessi di individui e di enti.
63 Ricostruiti da M. Cresti, op. ult. cit., p. 63 ss.
64 G. Cassarino, Il processo amministrativo, Milano, 1984, 615, parla di interessi non ancora soggettivizzati. V. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Utet, Torino, 1988, p. 159, definisce “adespoti” gli interessi “senza titolare in quanto riferibili nella loro globalità a categorie indeterminate di persone che non hanno proprie organizzazioni rappresentative”. Sempre V. Caianiello, La tutela degli interessi individuali e delle formazioni sociali nella materia ambientale, in Foro amm., 1987, p. 1318 afferma che l’interesse adespota è quello che “pur non riguardando i singoli ma una collettività, l’ordinamento abbia omesso di istituzionalizzare mediante l’attribuzione ad una specifica figura soggettiva pubblica”.    
65 P. Salvatore, Il problema della legittimazione: interesse legittimo, interesse diffuso, interesse di fatto, in Studi per il centenario della Quarta Sezione, Roma, 1989 usa l’espressione “interessi di serie” per definire l’interesse diffuso, mostrando di ricostruirlo in termini di sub-categoria rispetto all’interesse collettivo: “l’interesse collettivo può presentarsi nelle forme degli interessi di gruppo e degli interessi di serie, essendo i primi riferibili ad un gruppo chiuso di persone determinato e ricollegandosi i secondi a serie di soggetti non determinati, ma individuabili di volta in volta sulla base della presenza di date qualità concretanti il titolo per l’appartenenza del soggetto alla serie stessa”. Sulla validità della nozione di “interesse seriale”, L. Maruotti, cit., 606, in nota (34), afferma che “va rilevato che la nozione degli «interessi seriali» può avere una sua autonoma rilevanza solo se proposta con riferimento a quei bisogni e a quegli interessi dei soggetti relativi a beni di rilievo costituzionale, non idonei a soddisfare posizioni individuali in quanto non appropriabili da alcuno, in quanto vi è una vera e propria pluralità di interessi a ricorrere quando un provvedimento incide contemporaneamente sul patrimonio di più soggetti”. 
66 In tal senso si veda Cons. St., Ad. Plen., sentenza 19 ottobre 1979 n° 24, in Foro It., 1980, III, 1. Il Giudice ha chiarito che “interessi diffusi non sono, o almeno non sono soltanto, quelli appartenenti alla collettività e, quindi, ai componenti di questa solo in quanto tali considerati, perché se così fosse la categoria, necessariamente confondendosi in quella degli interessi pubblici e generali, non avrebbe alcun senso pratico”, e che “interessi diffusi sono invece, o quanto meno sono anche, gli interessi caratterizzati dalla simultaneità del loro riferimento soggettivo a tutti o parte dei componenti di una data collettività, individualmente considerati, riguardo al medesimo bene, operando d’altronde l’estremo della appartenenza alla collettività soltanto come dato (per ciò assolutamente estrinseco) di riferimento dei singoli soggetti all’ambiente naturale nel quale la collettività è insediata, e però non incidendo affatto sul rapporto in cui ciascuno di essi, considerato nella sua individualità, si pone con i valori espressi da tale ambiente”. Critico verso questa pronuncia Berti G., La legge tutela un interesse diffuso, ma il giudice ne ricava un interesse individuale, in Le Regioni, 1980, 734 ss.
In questa operazione di finium regundorum ha assunto un ruolo molto importante la Corte Costituzionale, la quale ha accolto – inizialmente – una nozione omnicomprensiva di ambiente, qualificandolo come “bene immateriale unitario”; successivamente la Consulta ha mutato orientamento elaborando una nozione teleologica di ambiente, come “tutela di un equilibrio ecologico”61.  
La questione della legittimazione ad agire62 – che, per i fini in discorso, deve essere indagata su un piano diverso dal caso in cui l’associazione ambientalistica subisca una lesione alla propria sfera giuridica da provvedimenti illegittimi che incidono negativamente sull’ambiente – può essere analizzata seguendo due orientamenti63, i quali distinguono a seconda che l’interesse fatto valere in giudizio sia tutelato da un’associazione esponenziale di una collettività differenziata (sia, cioè, un interesse collettivo) ovvero da un’associazione alla quale non sia riferibile un gruppo definito64 (sia, cioè, un interesse diffuso65).
Nel primo caso, la giurisprudenza ha argomentato alla luce dell’art. 2 Cost., in relazione alla tutela dei diritti dell’uomo non solo come singolo ma anche come appartenente a formazioni sociali66: ovviamente anche alla luce dell’introduzione, nel nostro ordinamento, della possibilità per le associazioni
ambientalistiche, individuate in base all’art. 13 L. n° 349/1986, di “intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi” (art. 18, comma 5, L. n° 349/1986)67.
67 Dal tenore letterale è evidente che il legislatore ha voluto attribuire alle associazioni riconosciute una duplice capacità processuale, relativamente al solo intervento nei giudizi di danno ambientale ed alla legittimazione principale in sede di tutela impugnatoria dinanzi al g.a.: ne consegue che, non sussiste necessaria cumulabilità delle due azioni ma, soprattutto, che nel giudizio di annullamento non deve essere provato il danno ambientale (così Cons. St., sez. VI, sentenza 16 luglio 1990  n° 72, in Cons. St., 1990). Sui limiti della tutela impugnatoria azionabile da parte delle associazioni ambientalistiche, è stato riconosciuto che non possa essere limitata alla deduzioni di censure di illegittimità solamente inerenti l’ambiente, ma che le organizzazioni di protezione ambientale riconosciute possono far valere anche censure non strettamente attinenti a violazioni di norme poste a tutela dell'ambiente, con il solo limite che l'eventuale loro accoglimento sia suscettibile, tramite l'annullamento del procedimento impugnato, di soddisfare l'interesse sostanziale di cui le organizzazioni sono titolari (cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza 13 marzo 1991 n° 181). Il fatto che, relativamente all’azione di danno, alle associazioni ambientalistiche è riconosciuto il solo potere di intervento e non anche di azione autonoma (nemmeno concorrente), può contribuire a ricostruire la nozione di ambiente in termini di diritto pubblico soggettivo, la cui tutela è esclusivamente devoluta ad organi pubblici (Stato o enti territoriali). In relazione a tale norma, Domenichelli V, cit., p. 1916, osserva che “La presenza poi di norme come l’art. 18, comma 5, della l. n. 349/1986 […] sarebbe una conferma della sempre maggiore rilevanza dell’interesse a ricorrere, sotto il profilo di un obiettivo vantaggio che trascende pure la sfera del soggetto ricorrente, rispetto all’interesse legittimo (che in tali casi non si potrebbe ritenere presente in capo a tali associazioni più che in capo ad altre associazioni meno consistenti), di tal ché la posizione legittimante (delle associazioni più consistenti) si «riduce ad una funzione di controllo» e di filtro sulla ricevibilità dei ricorsi”. Cfr. anche Romeo, Interesse legittimo e interesse a ricorrere: una distinzione inutile, in Dir. proc. amm., 1989, p. 495 ss.
68 Per un caso di negata legittimazioni delle associazioni ambientalistiche ad impugnare, ex art. 173 Tr., le decisioni comunitarie in materia ambientale, cfr. C.G.C.E. sentenza 2 aprile 1998 C- 321/95 (Greenpeace c. Commissione), in Riv. giur. amb., 1999, p. 903, con nota di Gratani A., Legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste a livello comunitario, p. 912 ss.
69 Cfr. Cons. St., sez. V, sentenza 9 marzo 1973 n° 253, in Foro Amm., 1973, I, 2, 261; ed in Foro It., 1974, III, con note di A. Romano (p. 33) e di L. Zanuttigh, Italia Nostra di fronte al Consiglio di Stato (p. 34). Nello stesso anno, la questione è stata affrontata, sempre dal Consiglio di Stato, nelle sentenze n° 30/1973, n° 104/1973 e n° 295/1973.
70 Affermano i Giudici di Palazzo Spada: “L’associazione Italia Nostra […] è costituita per il perseguimento di un fine che corrisponde a un interesse per sua natura pubblico e generale”; “[…] la determinazione di perseguire un tale fine non è rimasta un atto meramente soggettivo, perché ha ricevuto il crisma del riconoscimento governativo”; “[…] anche le associazioni riconosciute s debbono intendere comprese negli «enti morali giuridici» di cui parla l’art. 26 del t.u. n. 1054 del 1924. E una volta ammesso che un ente possa ricorrere per la tutela di un interesse pubblico coincidente con il fine per il quale l’ente stesso si è costituito, non si può ritenere che la natura privata dell’ente costituisca ostacolo alla legittimazione, giacché la facoltà di richiedere il controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti della pubblica amministrazione rientra nell’ambito dell’autonomia privata”.
71 Cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, sentenza 18 marzo 2004 n° 267, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R: Lombardia, Brescia, sentenza 19 settembre 2000 n° 696, in Riv. giur. amb., 2000, 639, con nota di Beltrame S., Conferenza di servizi, valutazione di impatto ambientale e funzionalità della conciliazione delle informazioni sull’ambiente alla protezione dell’ecosistema, p. 645 ss.; T.A.R. Lazio, sez. I, sentenza 20 gennaio 1995 n° 62, con nota di Reggiani E., in Foro It., 1995, III, col. 461. Questa linea giurisprudenziale muove dalla considerazione per cui il fattore legittimante non può essere riconosciuto in un elemento formale (il riconoscimento) ma deve necessariamente consistere nell’elemento sostanziale dell’effettiva rappresentatività. Un’interpretazione estensiva della legittimazione ad agire potrebbe, in ogni caso, essere fornita considerando che l’Art. 18, comma 5, non nega espressamente la titolarità dell’azione in capo alle associazioni non riconosciute. Si tenga conto che l’orientamento in discorso risulta pienamente conforme al dettato costituzionale, in quanto “attribuire alla sole associazioni individuate nel decreto ministeriale la possibilità di ricorrere al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dei provvedimenti illegittimi pregiudizievoli di interessi ambientali configgerebbe con gli artt. 24, 103, 113 Cost.; ciò perché, innanzitutto, si attribuirebbe in esclusiva a un organo della pubblica amministrazione (ministero dell’Ambiente) il potere di selezionare i soggetti legittimati ad agire avverso atti della stessa pubblica amministrazione (laddove la verifica della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere è tradizionalmente prerogativa giudiziaria); in secondo luogo, si verrebbe a negare il diritto di difesa a soggetti comunque portatori di interessi qualificati e differenziati (da quelli della collettività nel suo insieme)”. 
Nel secondo caso68 – tra l’altro affrontato dal Consiglio di Stato con una decisione storica69 che ha affermato la legittimazione di “Italia Nostra” sulla base dell’oggetto statutario, del riconoscimento ministeriale e della sua assimilabilità ad un soggetto pubblico70 – la giurisprudenza si è pronunciata in maniera contrastante, a volte riconoscendo la legittimazione ad agire anche in capo a soggetti privati non riconosciuti ex art. 18 L. n° 349/198671, altre
negandola72; a volte limitandola all’impugnazione di atti amministrativi strettamente inerenti l’ambiente73, altre riconoscendola solo ai soggetti nazionali e non anche alle loro articolazioni sul territorio74, altre ancora richiamando i concetti di vicinitas75 e di “collegamento stabile”76.
72 Cfr. T.A.R. Veneto sez. I, sentenza 4 aprile 2005 n° 1261, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. VI, sentenza 16 luglio 1990 n° 728. Contro tale impostazione si è espresso Maruotti L., cit., p. 633/634, per il quale “La legge dunque, ha introdotto un «doppio binario», per il quale l’accertamento al grado di rappresentatività dell’associazione può aver luogo volta per volta in sede giurisdizionale o una volta per tutte in sede amministrativa […] il giudice può pur sempre accertare il grado di rappresentatività dell’associazione o del gruppo, tenendo conto non dei criteri fissati dall’art. 13, primo comma (rilevanti per l’individuazione ministeriale), bensì dei diversi criteri sopra evidenziati, ed in particolare del suo grado di organizzazione e della vicinanza dei suoi componenti alla fonte della lesione, qualora non abbia avuto luogo l’individuazione (o, il che è lo stesso, la relativa domanda sia stata respinta)”.  In tal senso si sono espressi T.A.R. Toscana, sez. I, sentenza 21 gennaio 1989 n° 20, in T.A.R., 1989, p. 972; T.A.R. Lazio, sez. III, sentenza 14 settembre 1990 n° 1342, in Foro It., 1991, III, col. 183; T.A.R. Lazio, sez. III, sentenza 14 settembre 1990 n° 1906, in Giur. merito, 1991, III, col. 734; T.A.R. Lazio, sez. II, sentenza 19 dicembre 1990 n° 2235, in Foro It., 1991, III, col. 192; T.A.R. Toscana, sez. II, sentenza 13 settembre 1991; T.A.R. Sardegna, sentenza 25 maggio 1992 n° 610. Un caso particolare è quello deciso da Cons. St., sez, VI, sentenza 6 marzo 2003 n° 3165, in Riv. giur. amb., 2004, p. 278, che ha negato la legittimazione di un’associazione ambientalista a proporre appello contro una sentenza resa in un giudizio proposto da altri legittimati.
73 Cfr. Cons. St., sez. V, sentenza 10 marzo 1998 n° 278, in Foro amm., 1998, p. 708; Cons. St., sez. IV, sentenza 12 marzo 2001 n° 1382, in www.giustizia-amministrativa.it, che fornisce una nozione riduttiva di ambiente nella parte in cui afferma che “il concetto giuridico di ambiente non abbraccia ogni bene che abbia valenza “naturalistica” o “sociale”, ovvero che abbia come unico riferimento definizioni extragiuridiche facenti leva sull’idea di habitat, in cui vivono gli uomini e gli animali”; T.A.R. Toscana, sentenza 27 ottobre 2000 n° 2195, in www.giustizia-amministrativa.it, che ha limitato la legittimazione ad agire ai soli casi in cui si facciano “valere interessi diffusi, solo quando l’interesse all’ambiente assume qualificazione normativa, nei limiti di cui alla L. n. 349/86 o di altre fonti legislative intese ad identificare beni ambientali in senso giuridico, con esclusione degli atti che abbiano una mera valenza urbanistica”; T.A.R. Marche, sentenza 29 luglio 1999 n° 917, in www.giustizia-amministrativa.it. ed in T.A.R., 1999, I, 3990; T.A.R. Lazio, sez. I, sentenza 5 novembre 1999 n° 2853, in Riv. giur. amb., 2001, p. 96. In dottrina Maestroni A, La valenza ambientale del provvedimento impugnato quale criterio di restrizione della legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste al vaglio giurisprudenziale, in Riv. giur. amb., 2001, p. 97, e Id., La legittimazione delle associazioni ambientaliste all’impugnazione di atti urbanistici con valenza ambientale: il contrasto interno al Consiglio di Stato e il criterio dello stabile collegamento come fonte di legittimazione attiva di associazioni e privati, in Riv giur. amb., 2002, p. 752 ss., aderisce al criterio restrittivo; in senso estensivo cfr., invece, Maruotti L., cit., p. 626, per il quale “l’ambiente, pur essendo un bene giuridico unitario e distinto dagli altri, costituisce il genus nel cui interno, tra le varie species, vanno distinti valori, quali ad esempio il paesaggio, l’urbanistica e la salute dei cittadini”.
74 Cfr. T.A.R. Calabria Catanzaro, sentenza 17 maggio 1999 n° 701, in www.giustizia-amministrativa.it. Contra T.A.R. Sardegna, sentenza n° 96/2004.
75 Codificato sin da Cons. St., sentenza n° 24/1979. In dottrina, cfr. A. Maestroni, op. ult. cit., p. 752 ss.; P. Brambilla, L’impugnativa dei provvedimenti ambientali di localizzazione: i nuovi vincoli giurisprudenziali della legittimazione e dell’interesse ad agire dalla nozione di «vicinitas» a quella di «collegamento stabile», in Riv. giur. amb., 2001, p. 81 ss.
76 Cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza 12 marzo 2001 n° 1382, in Riv giur amb., 2002, p. 526/527 (con nota – critica – di S. Marchese S., cit., p. 527 ss.: afferma l’A. che “[…] il giudice amministrativo […] anziché negare in limine la legittimazione dell’associazione ricorrente (in forza dell’erroneo presupposto che l’interesse ambientale, delimitato secondo la materia, non potesse emergere in relazione ad un atto amministrativo compiuto nel perseguimento di fini pubblici relativi all’urbanistica e alla tutela del patrimonio storico-artistico) avrebbe dovuto verificare la sussistenza in concreto dell’interesse ambientale dell’Associazione inteso come tutela dell’equilibrio ecologico e «valore costituzionale» dell’ordinamento, nonché la sua rilevanza con specifico riferimento all’atto dell’Amministrazione oggetto del sindacato di legittimità”). A proposito di questo orientamento giurisprudenziale, R. Ferrara, cit., p. 492, osserva che esso fa “definitivamente giustizia del mito della personalità giuridica, giudicandosi irrilevante che il soggetto collettivo portatore dell’interesse superindividuale sia personificato oppure no”.
77 L’aggettivo è indicato dalla Dir. n° 97/11/CE, che ha sostituto il precedente “importante” utilizzato dalla Dir. n° 85/337/CEE. la Dir. 97/11 ha integrato la Dir. 85/337 inserendo ulteriori classi di progetti ed ampliando e precisando

2. La valutazione di impatto ambientale nell’ordinamento comunitario e nell’ordinamento interno: gli istituti di partecipazione. Nella presente sede ci si propone di indagare una particolare procedura di partecipazione al procedimento amministrativo, l’inchiesta pubblica, attualmente disciplinata nel contesto del più ampio procedimento amministrativo stabilito dal legislatore per la realizzazione di opere, pubbliche e private, che implichino un “notevole” 77 impatto ambientale, la Valutazione di Impatto Ambientale (v.i.a.).
“le modalità di informazione e di partecipazione del pubblico” (cfr. P. Dell’Anno, Manuale di diritto ambientale, Giuffrè, Milano, 2003, p. 718).
78 Il National Environmental Policy Act del 1969, entrato in vigore il 1 gennaio del 1970, è in assoluto la legge federale più significativa. Questa legge, che ha segnalato l’importanza della risorsa ambiente, è stata anche definita la “Magna Carta dell’Ambiente”: in particolare, essa mira ad assicurarsi che i processi decisionali avvengano in modo equo e bilanciato e nell’interesse pubblico e che la progettazione, la pianificazione e le procedure del decision-making comprendano l’integrazione delle considerazioni di tipo tecnico, economico, ambientale, sociale ed altri fattori. Il NEPA, grazie anche ai rapporti annuali del CEQ (Council of Environmental Quality), ha posto in evidenza numerosi elementi di interesse: la necessità di determinare l’estensione delle responsabilità legate alle fasi di mitigazione-pianificazione e di mitigazione-identificazione che l’agenzia incaricata della valutazione d’impatto ambientale dovrebbe appurare prima di rilasciare un EIS; la necessità di una metodologia o di una procedura che indirizzi sistematicamente gli impatti cumulativi; la necessità di utilizzare una metodologia o una procedura per condurre un’analisi delle conseguenze ragionevolmente prevedibili (reasonably foreseeable) di un’azione, soprattutto quando le informazioni sono incomplete e non disponibili; la necessità di un auditing ambientale per documentare gli impatti sperimentati da confrontare con altri previsti: i processi di feedback potrebbero essere utilizzati infatti per migliorare le previsioni degli impatti di progetti futuri. Fin dall’anno della sua nascita, cioè dal 1969, il NEPA ha modificato profondamente i processi di pianificazione e di valutazione negli Stati Uniti: concordemente si ritiene che questo atto abbia portato all’adozione di leggi e di politiche sulle valutazioni d’impatto ambientale in oltre 75 Paesi in tutto il mondo, nonché all’adozione di requisiti simili da parte di agenzie internazionali ed organizzazioni. Il NEPA comprende l’applicazione dei processi di VIA non solo a progetti, ma anche a politiche, piani e programmi. In questo caso la procedura prende il nome di “Strategic Environmental Assessment” (Valutazione Ambientale Strategica, vas). La necessità di integrare nel processo di VIA informazioni provenienti da diverse aree disciplinari e la relativa novità del settore della gestione ambientale, accentuano il bisogno che gli “environmental professionals” che lavorano nelle fasi di pianificazione, di conduzione e di revisione dei processi di valutazione, ricevano una preparazione adeguata.
La v.i.a. trova la sua più profonda origine nella sempre maggiore pressione che, nell’ambito di processi decisionali coinvolgenti politiche ambientali, ha assunto l’opinione pubblica: ciò è accaduto sia perché in un sistema globalizzato – anche a livello di ordinamenti giuridici – è aumentata in maniera esponenziale la capacità di diffusione delle informazioni e delle conoscenze scientifiche, nonché il grado di approfondimento di queste; sia perché a tale diffusione è seguita una sempre crescente richiesta, proveniente non solo dalle associazioni ambientaliste ma anche dal privato cittadino, di avere un ruolo attivo nei processi decisori inerenti un bene – l’ambiente – dal carattere comunque finito ed in definitiva consumabile e scarso.
Tale movimento – culturale, prima che politico e giuridico – inizia, per intuibili ragioni legate al maggiore sviluppo industriale e commerciale di quel Paese, negli Stati Uniti nel corso dei primi anni del 1960, ove condusse all’adozione del “National Environmental Policy Act”78 (NEPA) del 31 dicembre 1969 e con l’istituzione della “Environmental Protection Agency” (EPA) nel 1970.
Successivamente, l’attenzione si sposta oltre i confini statunitensi, per raggiungere l’Europa nel 1972, quando si tenne la “Conferenza di Stoccolma”: per la prima volta venne affrontato il problema della sostenibilità dello sviluppo economico ed industriale delle Nazioni, con la consapevolezza che un realistico progetto di miglioramento duraturo delle condizioni di vita non avrebbe potuto non porre in primo piano la salvaguardia delle risorse naturali a beneficio di tutti con la collaborazione internazionale. A Stoccolma si è posto l’accento sulla soluzione dei problemi ambientali, senza tuttavia dimenticare gli aspetti sociali, economici e quelli relativi allo sviluppo.
La Conferenza venne conclusa con una Dichiarazione, elaborata di comune accordo tra i Paesi industrializzati ed i Paesi in via di sviluppo, la quale contiene una serie di principi per la protezione dell’ambiente e per lo sviluppo nonché un centinaio di relative raccomandazioni di attuazione. La Dichiarazione di Stoccolma può essere considerata come una tappa fondamentale della politica
internazionale che più tardi troverà la sua caratterizzazione nello sviluppo sostenibile.
Nel 1987, il tema dello sviluppo sostenibile e della partecipazione di tutti all’utilizzo delle risorse venne nuovamente affrontato nel c.d. “Rapporto Brundtland”79, come punto cruciale per la risoluzione dei conflitti sociali derivanti dalla sperequatezza dell’utilizzo delle risorse80. Da tale rapporto emerge l’esigenza che la decisione amministrativa non possa essere adottata se non prevenendo le possibili conseguenze dannose per le generazioni future, così che nel processo decisionale debbono essere coinvolti almeno i “danti causa” di quelle81: in particolare, emerge la centralità della "partecipazione di tutti”: “il soddisfacimento di bisogni essenziali (basic needs) esige non solo una nuova era di crescita economica per nazioni in cui la maggioranza degli abitanti siano poveri ma anche la garanzia che tali poveri abbiamo la loro giusta parte delle risorse necessarie a sostenere tale crescita. Una siffatta equità dovrebbe essere coadiuvata sia da sistemi politici che assicurino l'effettiva partecipazione dei cittadini nel processo decisionale, sia da una maggior democrazia a livello delle scelte internazionali”.
79 Dal nome del Presidente della “World Commission on Environment and Development” Sig.ra Gro Harlem Bruntland. Il Rapporto è altresì noto con il suo titolo “Our common future”.
80 “[...] environmental and economic problems are linked to many social and political factors [...] environmental stress and uneven development can increase social tension.” (punto 43). 
81 “Some large-scale projects, however, require partecipation on a different basis. Public inquiries and hearing on the development and envirinment impacts can help greatly in drawing attention to different point of view. Free access to rilevant informations and the availabiliy of alternative sources of technical expertise can provide an informed basis for public discussion. When the environmental impact of a proposed project in particulry hight, public scrutiny of the case should be mandatory and, whenever fenquible, the decision should be subject  to prior public approval, perhaps by referendum” (punto 78).    
Solo successivamente, con la Conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Rjo de Janeiro nel 1992, lo sviluppo sostenibile ha assunto le caratteristiche di concetto integrato, avocando a sé la necessità di coniugare le tre dimensioni fondamentali e inscindibili di ambiente, economia e società, dato che risulta evidente come l’azione ambientale da sola non possa esaurire la sfida: ogni piano o politica di intervento, infatti, deve rispondere ad una visione integrata e definire sia impatti economici che sociali ed ambientali.
Il progresso tecnologico sostenibile si pone allora quale strumento per raggiungere l’obiettivo di un uso oculato delle risorse naturali diminuendo il consumo di quelle non rinnovabili, nonché della limitazione dei rifiuti prodotti e della sostituzione del capitale naturale (territorio, risorse materiali, specie viventi) con capitale costruito (risorse naturali trasformate).
In sostanza, lo sviluppo sostenibile implica che le decisioni in materia ambientale siano adottate innanzitutto avendo un quadro complessivo degli interessi incisi – anche per valutare la c.d. “opzione zero” – e, per assicurare tale completezza istruttoria, siano il frutto di una mediazione concertata degli interessi al fine di prevenire conflitti tra poteri e tra potere e comunità.
Tale partecipazione alle scelte implica sia un preventivo accesso alle informazioni di carattere ambientale, sia l’affermazione del principio della condivisione delle responsabilità.
In quest’ottica, la v.i.a.82 realizza in maniera piena tali obiettivi, consistendo nella manifestazione di un giudizio – la cui pronuncia è demandata ad organi dotati di specifica competenza tecnica, impegnati in un esame da condurre su diversi piani e con uno specifico onere di approfondimento83 – il cui esito positivo consente la prosecuzione – ed il termine – del procedimento principale per la realizzazione dell’opera.
82 Per riferimenti alla v.i.a. ed all’inchiesta pubblica, nella complessiva tutela dell’ambiente, cfr. F. Fonderico, La tutela dell’ambiente, in Trattato di Diritto Amministrativo, Parte Speciale, a cura di S. Cassese, Giuffrè, p. 201 ss.
83 Cfr. l’Art. 3 Dir. 85/337/CEE (nel testo introdotto dalla Dir. 97/11/CE: “La valutazione dell'impatto ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e a norma degli articoli da 4 a 11, gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori:
- l'uomo, la fauna e la flora;
- il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;
- i beni materiali ed il patrimonio culturale;
- l'interazione tra i fattori di cui al primo, secondo e terzo trattino”.
84 Sul punto si veda M. Campolo, Interessi ambientali e pianificazione del territorio. La valutazione di impatto ambientale, Napoli, Editoriale Scientifica, 1999, spec p. 144-147.
85 Sul principio di prevenzione cfr.: B. Caravita, Diritto dell’ambiente, III edizione, Bologna, Il Mulino, 2005, 77,; L. Kramer, Manuale di diritto comunitario dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2002, p. 83; P. Dell’Anno, Prevenzione dell’inquinamento ambientale, in Riv. trim. dir. pubbl., I, p. 206 ss. (anche in AA.VV., La valutazione di impatto ambientale: problemi di inserimento nell’ordinamento italiano, a cura di P. Dell’Anno, Maggioli Editore, Rimini, 1987, p. 95 ss.).
86 In una prospettiva di anticipazione dell’applicazione del principio di precauzione, è possibile rilevare che nulla osterebbe a che la v.i.a. si applicasse anche ad atti legislativi e ad atti di pianificazione e/o programmazione (come accade nell’ordinamento statunitense e canadese: sul punto cfr. Campolo M., cit., p. 152, nota 13), i quali si pongono, rispetto al singolo progetto da autorizzare, in rapporto di pregiudizialità: in relazione a tale possibilità occorre rilevare che, mentre non esiste uno specifico divieto di natura comunitaria (ad eccezione di quanto previsto dall’Art. 2, comma 5, Dir. 85/337/CEE, che stabilisce l’espressa esclusione “ai progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico, inteso che gli obiettivi perseguiti dalla presente direttiva, incluso l'obiettivo della disponibilità delle informazioni, vengono raggiunti tramite la procedura legislativa”: quindi, nell’ordinamento interno potrebbe applicarsi agli atti amministrativi di pianificazione generale, come il p.r.g., che legislativi non sono), l’Art. 13 Dir. 85/337/CEE prevedeva – ma la disposizione è stata abrogata dalla Dir. 97/11/CE – che gli Stati membri potessero fissare norme più severe in materia). In dottrina economica la tesi è sostenuta da Muraro, Valutazione d’impatto ambientale e analisi economica, in Riv. giur. amb., 1987, 13-15: “quando il problema ambientale si configuri come effetti di microunità operative – come è, ad esempio, per gran parte dell’inquinamento e dello sviluppo residenziale – un’elementare regola di razionalità impone che l’eventuale valutazione dell’impatto sia anticipata al momento della formulazione del piano territoriale […]”; l’A. fa altresì rilevare che “tanto più si progredirà lungo la via della pianificazione territoriale e della preventiva stima delle implicazioni ambientali delle proposte legislative, tanto meno ci sarà bisogno di ricorrere alla costosa valutazione di singoli progetti”). Si osserva che una simile impostazione, per quanto di pregio ai fini di un’applicazione rigorosa del principio di prevenzione e dei principi di economicità e concentrazione dell’azione amministrativa, rischia di essere però troppo rigorosa nella misura in cui – aderendo ad una lettura sistematica orientata alla necessità di internalizzare i costi ambientali e a rispettare il principio “chi inquina paga” – sposterebbe il
La v.i.a. costituisce uno dei più chiari esempi di applicazione del principio dell’azione preventiva84: tale principio, attualmente codificato dall’art. 174, secondo paragrafo, del Trattato (nella versione consolidata) unitamente al principio di precauzione, di correzione alla fonte, ed al principio “chi inquina paga”, implica non solo che il momento di adozione della decisione amministrativa sia anticipato rispetto al manifestarsi del problema di natura ambientale85, ma che tale decisione sia orientata al fine di prevenire la manifestazione stessa del problema.
L’applicazione del principio di prevenzione non è giustificata solo da esigenze di tutela ambientale ma anche da ragioni di carattere economico: infatti, se letto in combinato disposto con il principio “chi inquina paga”, il principio di prevenzione richiede che il decisore pubblico, nell’autorizzare la realizzazione di un’opera, tenga conto anche del costo economico che essa potrebbe avere in termini di ricaduta sull’ambiente, ed adotti la decisione amministrativa nel senso di azzerare o ridurre tale costo86. Costo che, comunque, dovrebbe essere internalizzato dall’impresa che realizza l’opera87.
costo delle informazioni ambientali sull’amministrazione pianificatrice, sollevando da essi il soggetto privato realizzatore del progetto.
87 Sul costo come voce da internalizzare per l’impresa, cfr. F. Caffè, Lezioni di politica economica, Torino, 1980, p. 40 ss; L. Conti, La programmazione dell’ambiente, in Democrazia e diritto, 1982, n° 2, p. 20 ss.
88 Cfr. P. Dell’Anno, Prevenzione dall’inquinamento ambientale, in AA.VV., La valutazione di impatto ambientale: problemi di inserimento nell’ordinamento italiano, cit., p. 117. 
89 La Dir. 85/337 costituisce il punto di arrivo dei programmi d’azione elaborati negli anni 1973, 1977 e 1981 come recepiti a svolgimento delle sollecitazioni provenienti dalla Conferenza di Parigi dell’ottobre 1972, nonché del Parere del Comitato Economico e sociale della Comunità del 29.04.1981 e del Parere del Parlamento Europeo del 12.02.1982 (cfr. A. Gustapane, La valutazione di impatto ambientale in Italia tra indirizzo comunitario e attuazione statale, in AA.VV., Valutazione di impatto ambientale. Profili normativi e metodologie informatiche, Giuffrè, Milano, 1992. p. 4 ss.).
La Dir. 85/337 è stata modificata in parte dalla Dir. 97/11/CE, in particolare per la parte concernete le opere transfrontaliere.
90 Cfr. il “considerando” n° 1:  “ […] la migliore politica ecologica consiste nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché combatterne successivamente gli effetti […]”; “[…] in tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione si deve tener subito conto delle eventuali ripercussioni sull’ambiente […]”. 
91 Cfr. il “considerando” n° 2: “ […] l’esistenza di disparità tra le legislazioni vigenti negli Stati membri in materia di valutazione dell’impatto ambientale dei progetti pubblici e privati può crear condizioni di concorrenza ineguali e avere perciò un’incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune […] è quindi opportuno procedere al ravvicinamento delle legislazioni […]”. 
92 Cfr. il “considerando” n° 6.
Una simile operazione risulta di maggiore utilità nella misura in cui ad un sistema di singole autorizzazioni scollegate tra di loro si sostituiscano “procedimenti di valutazione preventiva che avendo quale oggetto l’ambiente come sistema, consentano di inserire iniziative e proposte in un quadro d’insieme di compatibilità, attuali e future”88.
Uno di questi procedimenti è costituito dalla valutazione di impatto ambientale, disciplinata per la prima volta in sede di Consiglio delle Comunità Europee, mediante adozione della Direttiva 85/337/CEE89. Questa Direttiva, che palesa sin dai “considerando” lo stretto legame tra la v.i.a. e l’applicazione del principio di prevenzione90, rende altresì evidente che l’ambiente non è considerato dalle Istituzioni comunitarie come un elemento a sé stante del quale tenere conto occasionalmente, ma che ad esso è assegnato il ruolo di elemento portante nell’attuazione del complessivo programma di realizzazione del principale obiettivo perseguito dalla Comunità Europea (poi Unione), la realizzazione del mercato comune91, anche attraverso strumenti di tutela della concorrenza.
La ratio dalla quale muove la Dir. 85/337/CEE consiste nell’acquisita consapevolezza che “[…] l’autorizzazione di progetti pubblici e privati che possono aver un impatto rilevante sull’ambiente va concessa solo previa valutazione delle loro probabili rilevanti ripercussioni sull’ambiente […]”, e che “[…] questa valutazione deve essere fatta in base alle opportune informazioni fornite dal committente e eventualmente completata dalle autorità e dal pubblico eventualmente interessato dal progetto;”92.
Sin dal considerando n° 6 della Dir. 85/337 è possibile cogliere la struttura portante della v.i.a. comunitaria, ossia un procedimento (nel senso puro di ordinato procedere) attivato d’ufficio ed imperniato sulla valutazione, in via principale, delle “ […] opportune informazioni fornite dal committente […]” e, in via subordinata, “ […] eventualmente completata dalle autorità e dal pubblico eventualmente interessato dal progetto;”. Per quanto qui di interesse, è possibile sin da subito rilevare che l’avverbio significa che le informazioni fornite dall’autorità pubblica sono esaminate solo successivamente a quelle fornite dal committente, e che la valutazione può essere completata dal
pubblico ove questo sia interessato (nel senso di inciso) dal progetto: già la sola ripetizione dell’avverbio sarebbe sufficiente a qualificare come “deboli” (come si è optato nel titolo del presente lavoro) le posizioni giuridiche soggettive esprimibili dal pubblico in sede di v.i.a.
Nel 2003 il Parlamento Europeo ed il Consiglio Europeo sono intervenuti a parziale modifica della Dir. 85/337/CEE, adottando la Dir. 35/2003/CE del 26 maggio 2003, il cui scopo principale93 è stato quello di fornire attuazione agli obblighi derivanti dalla Convenzione UN/ECE del 25 giugno 1998 (meglio conosciuta come “Convenzione di Århus”94), specialmente nella parte in cui essa si proponeva di garantire il diritto di partecipazione del pubblico alle attività decisionali in materia ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle persone.
93 Cfr. il “considerando” n° 5: “Il 25 giugno 1998 la Comunità europea ha sottoscritto la convenzione UN/ECE sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (“convenzione di Århus”). Il diritto comunitario dovrebbe essere adeguatamente allineato a tale convenzione in vista della ratifica da parte della Comunità.” ed il “considerando” n° 6 “Tra gli obiettivi della convenzione di Århus vi è il desiderio di garantire il diritto di partecipazione del pubblico alle attività decisionali in materia ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle persone.”.
94 L’attuazione di questa Convenzione nell’ordinamento interno è avvenuta con la L. n° 16 marzo 2001 n° 108. Essa rappresenta uno strumento internazionale di fondamentale rilevanza per la sensibilizzazione e il coinvolgimento della società civile sulle tematiche ambientali: vi aderiscono 39 Stati membri della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e l'Unione Europea. Come stabilito dalla decisione adottata dalla I° Conferenza delle Parti (Lucca 2020), il Segretariato deve predisporre un'analisi complessiva dello stato d'attuazione della Convenzione, da presentare alla successiva Conferenza che si è tenuta in Kazakhistan nel maggio 2005. A tal fine ogni Stato, parte o firmatario, dovrà inviare un rapporto nazionale sull'attuazione della Convenzione, rispondendo ad un apposito questionario. Il Ministero dell'Ambiente ha predisposto e messo on line un sintetico documento che rappresenta una prima bozza per l'elaborazione del rapporto. La novità della Convenzione di Ahrus a Convenzione di Aarhus non si esaurisce in un testo normativo tradotto negli ordinamenti degli Stati firmatari ma ha dato vita a una serie di gruppi di lavoro in seno all'UNECE allo scopo di dare attuazione e integrare alcune disposizioni in essa contenute. I più rilevanti riguardano: la creazione di un comitato di controllo per l'osservanza della Convenzione da parte degli Stati; gli strumenti canali elettronici di diffusione delle informazioni; l'identificazione delle migliori pratiche in materia di accesso alla giustizia; la creazione di un registro del rilascio e del trasferimento di sostanze inquinanti (PRTR); l'applicazione della Convenzione agli Organismi Geneticamente Modificati. 
95 Con l’esenzione relativa “[…] a piani e programmi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale o adottati in caso di emergenze civili” (art. 2, comma 4) nonché “[…] a piani e programmi di cui all’allegato I per i quali è attuata una procedura di partecipazione del pubblico ai sensi della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, o ai sensi della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque” (Art. 2, comma 5).
96 Cfr. art. 2, comma 2, lett. a): “[…] gli Stati membri provvedono affinché […] il pubblico sia informato, attraverso pubblici avvisi oppure in altra forma adeguata quali mezzi di comunicazione elettronici, se disponibili, di qualsiasi proposta relativa a tali piani o programmi o alla loro modifica o riesame, e siano rese accessibili al pubblico le informazioni relative a tali proposte, comprese tra l’altro le informazioni sul diritto di partecipare al processo decisionale e sull’autorità competente a cui possono essere sottoposti osservazioni o quesiti”.
97 Cfr. art. 2, comma 2, lett. b): “[…] gli Stati membri provvedono affinché […] il pubblico possa esprimere osservazioni e pareri quando tutte le opzioni sono aperte  prima che vengano adottate decisioni sui piani e sui programmi”.
Per quanto qui di interesse, occorre rilevare che, tra le altre cose, questa Direttiva detta prescrizioni95 relative sia al generico ed ampio principio di pubblicità delle informazioni ambientali, sia alla partecipazione del pubblico ai processo decisionali, obbligando gli Stati membri ad introdurre strumenti che siano in grado: di informare il pubblico circa il proprio ruolo nel processo decisionale nonché circa la possibilità di acquisizione degli elementi per estrinsecare tale partecipazione96; di consentire al pubblico di produrre apporto collaborativo prima che le decisioni siano definite97; e, soprattutto, di introdurre un onere di motivazione in relazione alle osservazioni presentate
dal pubblico98, nonché un onere di pubblicità e di trasparenza, a carico del soggetto procedente, affinché il pubblico sia informato in relazione al ruolo dallo stesso assunto nel complessivo processo decisionale99.
98 Cfr. art. 2, comma 2, lett. c): “[…] gli Stati membri provvedono affinché […] nell’adozione di tali decisioni, si tenga debitamente conto delle risultanze della partecipazione del pubblico”.
99 Cfr. art. 2, comma 2, lett. d): “[…] gli Stati membri provvedono affinché […] dopo un esame delle osservazioni e dei pareri del pubblico,  l’autorità competente faccia ragionevoli sforzi per informare il pubblico in merito alle decisioni adottate e ai motivi e considerazioni su cui le stesse sono basate, includendo informazioni circa il processo di partecipazione del pubblico”.
100 Cfr. il comma 2: “Gli Stati membri determinano ciò che costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto, compatibilmente con l'obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia”.
101 I due requisiti che, alternativamente, debbono sussistere affinché ad un soggetto sia consentito l’ “accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalla presente direttiva”.
102 Cfr. art. 10-bis, comma 2, seconda parte: “A tal fine, l'interesse di qualsiasi organizzazione non governativa ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, è considerato sufficiente ai fini della lettera a) del presente articolo. Si considera inoltre che tali organizzazioni siano titolari di diritti suscettibili di essere lesi ai fini della lettera b) del presente articolo”.
103 Sulla v.i.a. in Italia la letteratura è piuttosto vasta. Si vedano, per tutti, i contributi di Caianiello, D’Amelio, Aspetti istituzionali della procedura di impatto ambientale, in Foro. amm., 1981, I, 747; P. Dell’Anno, Energia e assetto del territorio: profili istituzionali, Padova, Cedam., 1983; Id., La v.i.a.: problemi di inserimento nell’ordinamento italiano, Rimini, 1987; N. Greco, La valutazione di impatto ambientale. Rivoluzione o complicazione amministrativa, Milano, 1984; Id., Problemi e prospettive dell’introduzione in Italia di una procedura di v.i.a., in Rass. Giur. ENEL, 1986, 8; Cozzuto, Quadri, Problemi istituzionali della v.i.a., in Foro It., 1989, 407; Gustapane, La procedura di v.i.a. nell’ordinamento italiano, in San. Pubbl., 1990, 149; Conti, La valutazione di impatto ambientale, Padova, 1990; Nespor, De Cesaris, La valutazione di impatto ambientale, in Quaderni della rivista giuridica dell’ambiente, n° 4, Milano, Giuffrè, 1991; Gustapane, Sartor, Verardi, Valutazione di impatto ambientale. Profili normativi e metodologie dogmatiche, Milano, Giuffrè, 1992; M. Campolo, Interessi ambientali e pianificazione del territorio. La valutazione di impatto ambientale, Napoli, Editoriale Scientifica, 1999.
Sulla v.i.a. nell’ordinamento comunitario si veda Cutrera, La direttiva 85/337 C.E.E. sulla v.i.a., in Riv. giur. amb., 1987, 499; N. Greco, Processi decisionali e tutela preventiva dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 1989; B. Caravita, Diritto pubblico dell’ambiente, Bologna, 1990; Melica, La v.i.a. nell’ordinamento comunitario, in San. Pubbl., 1991, 805 ss.; De Cesaris, La valutazione di impatto ambientale nella C.E.E. e in Italia, in Nespor, De Cesaris, La valutazione di mpatto ambientale, in Quaderni della rivista giuridica dell’ambiente, n° 4, Milano, Giuffrè, 1991.
In relazione a tale onere di motivazione, la Dir. 35/2003/CE ha modificato l’art. 9 della Dir. 85/337/CEE prevedendo che l’obbligo di – tempestiva – motivazione sia assolto “[…] tenuto conto delle preoccupazioni e dei pareri del pubblico interessato, i motivi e le considerazioni principali su cui la decisione si fonda, incluse informazioni relative al processo di partecipazione del pubblico […]”.
Significativamente, la Dir. 35/2003/CE si cura di raccordare gli istituti di partecipazione che predispone con adeguati strumenti di tutela giurisdizionale degli interessi sottesi: in particolare, l’art. 3, comma 7, della Direttiva introduce l’art. 10-bis nella Dir. 85/337/CEE che disciplina l’interesse al ricorso, dettando una serie di linee guida per gli Stati membri con l’obbligo di attuarle “in conformità con il proprio ordinamento giuridico nazionale”. Più specificamente, nel mentre l’attuale art. 10-bis lascia ampio margine agli Stati membri100 in ordine alla determinazione di cioè che costituisce “interesse sufficiente” e “violazione di un diritto”101, sembra introdurre una presunzione legale di interesse sufficiente in capo a “qualsiasi organizzazione non governativa”, senza fare riferimento all’oggetto ambientale di questa102. Con le evidenti conseguenze, nonché con le altrettanto evidenti esigenze di coordinamento in sistemi giuridici – come quello italiano – nei quali l’interesse al ricorso è qualificato da caratteri molto rigidi (personalità, attualità).
Nell’ordinamento interno la v.i.a. è un istituto abbastanza recente103: derivato, come molti altri istituti del diritto amministrativo interno, dalla legislazione comunitaria, è stato introdotto, in via generale, dalla L. n° 349/1986
(“Istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale”)104, il cui art. 6 ha assegnato un termine per l’attuazione delle direttive comunitarie in materia di impatto ambientale; ha stabilito, al comma 2, che venissero individuate, con D.P.C.M.105, le norme tecniche e le categorie di opere in grado di produrre rilevanti modificazioni dell’ambiente; ha previsto, al comma 9, la possibilità di intervento del pubblico106.
104 Tale Legge ha recepito la Dir. 85/337 nell’ambito di una più “ampia riforma istituzionale provocata dal progressivo affermarsi di una nuova cultura dell’ambiente” (così A. Gustapane, La valutazione di impatto ambientale in Italia tra indirizzo comunitario e attuazione statale, cit., p. 16,17).
105 Quindi con fonte normativa di rango secondario. Tale scelta è stata ritenuta funzionale al mutevole progresso scientifico, al cui passo il legislatore parlamentare non avrebbe potuto adeguarsi (cfr., specificamente sul punto, Salvia, Il Ministero dell’Ambiente, Roma, 1989.  
106 Art. 6, comma 9: “Qualsiasi cittadino in conformità delle leggi vigenti, può presentare, in forma scritta, al Ministero dell’ambiente, al Ministero per i beni culturali e ambientali e alla regione interessata istanze, osservazioni o pareri sull’opera soggetta a valutazione di impatto ambientale, nel termine di trenta giorni all’annuncio della comunicazione del progetto”.
107 Contenente la regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale.
108 Che stabilisce le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale  e la formulazione del giudizio di compatibilità ambientale.
109 Possono essere sintetizzate come segue: i progetti delle raffinerie di petrolio greggio e degli impianti di massificazione-liquefazione di almeno 500 t al giorno di carbone o di scisti bituminosi; i progetti di centrali termiche e degli altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW; i progetti delle centrali nucleari e degli altri reattori nucleari e degli impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio definitivo o alla eliminazione definitiva dei residui radioattivi; i progetti delle acciaierie integrate; i progetti degli impianti per l’estrazione di amianto ed i progetti degli impianti per il trattamento e la trasformazione dell’amianto e dei prodotti contenenti amianto; i progetti degli impianti chimici integrati; i progetti delle autostrade e delle vie di rapida comunicazione; i progetti di tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza; i progetti dei nuovi piani regolatori ed i progetti di massima delle opere relative agli aeroporti con piste i decollo  di atterraggio lunghe almeno 2.100 metri; i progetti dei porti commerciali marittimi, delle vie navigabili e dei porti per la navigazione interna accessibili a battelli con stazza superiore a 1.350 t; i progetti degli impianti di eliminazione e di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi; i progetti delle dighe e degli altri impianti destinati a trattenere , regolare ed accumulare le acque in modo durevole. Sono comunque soggetti alla procedura di v.i.a. gli interventi su opere già esistenti, anche nel caso non rientrassero tra le categorie ora menzionate, qualora da essi derivi un’opera di cui alle predette categorie; ne sono, invece, escluse le opere destinate alla difesa nazionale.
110 Tale Regolamento è stato adottato sia per adempiere alla prescrizione di cui alla L. 22 febbraio 1994 n° 146 – il cui art. 40, comma 1, attribuiva al Governo, con atto di indirizzo e coordinamento, il compito di definire le condizioni, i criteri e le norme tecniche per l'applicazione della procedura di impatto ambientale relativamente ai progetti inclusi nell'allegato II alla direttiva 85/337/CEE – sia per fornire piena attuazione alla citata Direttiva, anche “in considerazione del parere della Commissione delle Comunità europee, in data 7 luglio 1993, con il quale la Repubblica italiana è stata invitata a prendere le misure necessarie per la sottoposizione alla procedura di valutazione dell'impatto ambientale dei progetti di cui all'allegato II alla citata direttiva quando questi abbiano un impatto ambientale importante” (cfr. le premesse del Regolamento).
L’adempimento di cui al comma 2 è stato attuato con il D.P.C.M. 10 agosto 1988 n° 377107 e con il D.P.C.M. 27 dicembre 1988108: da una lettura coordinata di questi regolamenti si ricavano le tassative categorie109 di opere relativamente alle quale deve essere espletata una fase preliminare rispetto alla fase che condurrà alla conclusione del procedimento decisorio principale.
Un’ulteriore attuazione della Direttiva comunitaria, per le opere ricomprese nell’Allegato II di questa, si è avuta con il D.P.R. 12 aprile 1996 (“Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della L. 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale”)110.
Pur non essendo opportuno approfondire con particolare intensità le procedura di v.i.a., operazione che risulterebbe eccentrica rispetto ai limiti del presente lavoro, non è tuttavia possibile prescindere da una seppur sintetica descrizione del procedimento, al fine di individuare quali siano i poteri partecipativi che in essa trovano applicazione nonché quale sia il contenuto di
tale partecipazione in relazione all’inchiesta pubblica ed al ruolo di questa nel complessivo procedimento di pronuncia della compatibilità ambientale.
La legislazione nazionale deve comunque essere esaminata muovendo dalla Dir. n° 85/337/CEE, come modificata dalla Dir n° 11/97/CE e dalla Dir. 35/2003/CE, la quale prevede meccanismi in forza dei quali al pubblico è attribuito un diritto all’informazione nonché un potere significativo di partecipare alla decisione amministrativa111, prevedendo, altresì, uno specifico onere di motivazione in relazione alle risultanze della partecipazione.
111 Cfr. art. 6 Dir. 85/337/CEE, comma 2, 3, 4, 5, 6.
112 Si tratta, nello specifico, del D.P.C.M. 10 agosto 1988 n° 377 (“Regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale”), del D.P.C.M. 27 dicembre 1988 (“Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità”), e del D.P.R. 12 aprile 1996 (“Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge n. 146 del 22/02/94, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale”).
113 Il quale devolve alla fonte normativa di rango secondario la determinazione delle norme tecniche e delle categorie di opere in grado di produrre “rilevanti modificazioni dell’ambiente” ed alle quali si applichi la procedura di v.i.a. 
114 Cfr. la L. n° 9/1991, art. 2, relativamente agli elettrodotti ad alta tensione ; la L. n° 366/1990, art. 1, relativamente ad opere non comprese nell’All. II Dir. 85/337 ma tuttavia suscettibili di esservi ricompresse dato il loro carattere di necessarietà ai fini del completamento dell’opera;  il D. Lgs. n° 100/1992, relativo alla prevenzione dall’inquinamento provocato dall’industria del biossido di titanio; la L. n° 220/1992, relativa ad interventi sull’ambiente marino e costiero.
115 Occorre segnalare che una legge cornice relativa alla procedura di v.i.a. non è mai stata adottata dal Parlamento, nonostante il termine di sei mesi posto dall’Art. 6 L. n° 349/1986 fosse piuttosto stringente. Il difetto di una legge generale, oltre ad essere sanzionato in termini di mancato recepimento della Dir. 85/377 – la quale, tuttavia, essendo estremamente dettagliata ed essendo scaduto il termine per il recepimento, è comunque applicabile in forza della giurisprudenza CGCE sulle Direttive self-excecuting – viene ad essere mitigato, nella sostanza, dall’intervenuta adozione dei numerosi provvedimenti legislativi di rango secondario che hanno disciplinato singole categorie di opere. Tuttavia, in Parlamento, nel corso della XIII legislatura (per una rassegna dei d.d.l. delle legislature precedenti cfr. M. Campolo, cit., p. 258 ss.), sono stati presentati tre disegni di legge: l’A.S. n° 198 (assegnato alla 13ª Commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali) in sede referente il 2 ottobre 2001: ha ricevuto )., l’A.S. n° 602 (Presentato in data 3 agosto 2001: ancora da assegnare)  e l’A.C. n° 445 (assegnato alla 8ª Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) in sede referente il 10 dicembre 2001: non ancora iniziato l’esame), tutti con lo scopo dichiarato di recepire la Dir. 85/377 e di fornire una disciplina organica di dettaglio alla v.i.a. (“A.S. n° 602: “[…] In attesa dell’approvazione di un’organica normativa di recepimento della normativa comunitaria, la quale si è andata arricchendo anche di profili specifici dedicati alla valutazione ambientale strategica, alla citata direttiva 85/337/CEE era stata data una prima attuazione nell’ordinamento nazionale con l’articolo 6 della legge istitutiva del Ministero dell’ambiente, la legge 8 luglio 1986, n. 349, che ha introdotto una disciplina della valutazione di impatto ambientale, espressamente qualificata come provvisoria. In attuazione del citato articolo 6, è stato quindi emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 1988, n. 377, contenente la regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale, successivamente integrato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988, recante le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità ambientale. Tali atti normativi hanno definito un primo elenco delle opere da sottoporre a VIA; successivamente specifiche leggi di settore hanno previsto, di volta in volta, l’applicazione della procedura di valutazione dell’impatto ambientale ad ulteriori categorie progettuali. In base alla normativa richiamata, sono state pertanto sottoposte alla procedura di VIA tutte le opere individuate nell’allegato I della direttiva 85/337/CEE ed
Quest’ultima Direttiva, ad integrazione dell’art. 9 della Dir. 85/337/CEE, prevede che gli Stati membri “[…] b) si accertano che le suddette autorità e i suddetti cittadini interessati abbiano la possibilità, anteriormente al rilascio dell'autorizzazione al progetto, di comunicare, entro un ragionevole lasso di tempo, i loro pareri sulle informazioni fornite all'autorità competente dello Stato membro nel cui territorio è prevista la realizzazione del progetto”.
A livello di normazione interna, una sorta di disciplina generale è contenuta nell’art. 6 della L. n° 349/1986 mentre, ad una serie di atti regolamentari112 adottati ai sensi del citato art. 6, comma 2113, è affidata la disciplina di dettaglio e di recepimento della Dir. 85/337. Successivamente, numerose altre leggi hanno reso obbligatoria la procedura di v.i.a. per ulteriori categorie di opere114. Tuttavia, il sostanziale recepimento della Dir. 87/335 non è valso ad evitare all’Italia l’apertura di una procedura di infrazione per mancato recepimento dell’All. II della Direttiva115.
alcune di quelle contenute nell’allegato II della stessa. Peraltro, con un parere motivato, indirizzato alla Repubblica italiana il 7 luglio 1993, ai sensi dell’articolo 169 del Trattato CEE, la Commissione delle Comunità europee ha contestato al Governo italiano la non corretta attuazione della direttiva in materia di valutazione di impatto ambientale, rilevando come la direttiva medesima non consenta di sottrarre in via generale alla procedura di VIA le opere ricomprese nell’allegato II, ma impone comunque di valutare, caso per caso, sulla base delle caratteristiche delle opere medesime, l’opportunità di applicare o meno l’anzidetta procedura. Successivamente, in data 27 maggio 1994, è stata comunicata al Governo italiano la presentazione di un ricorso della Commissione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per i motivi indicati. Al fine di porre rimedio ai problemi segnalati e in attesa dell’approvazione di una disciplina di più ampio respiro, in base alla legge 22 febbraio 1994, n. 146 (legge comunitaria per il 1993), è stato adottato, con il decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, un apposito atto di indirizzo e di coordinamento, che definisce le condizioni, i criteri e le norme tecniche per l’applicazione, da parte delle regioni, della procedura di VIA alle tipologie progettuali indicate nell’allegato II alla direttiva 85/337/CEE. Peraltro, la Commissione europea ha ribadito, con ulteriori pareri motivati, le ragioni di contestazione nei confronti della Repubblica italiana, evidenziando come la disciplina vigente nel nostro ordinamento, anche a seguito dell’ultimo provvedimento adottato, escluda la possibilità di effettuare, in tutto il territorio nazionale o in una parte di esso, una valutazione di impatto ambientale per varie categorie di progetti comprese nel citato allegato II. […]” 
116 Il progetto – la cui avvenuta comunicazione deve essere notiziata “[…] a cura del committente, sul quotidiano più diffuso nella regione territorialmente interessata, nonché su un quotidiano a diffusione nazionale” – deve essere molto dettagliato, dovendo recare “l’indicazione della localizzazione dell’intervento, la specificazione dei rifiuti liquidi e solidi, delle emissioni ed immissioni inquinanti nell’atmosfera e delle emissioni sonore prodotte dall’opera, la descrizione dei dispositivi di eliminazione o recupero dei danni all’ambiente ed i piani d prevenzione dei danni all’ambiente e di monitoraggio ambientale”.
117 La pronuncia è a cura del Ministero dell’ambiente, sentita la Regione interessata, di concerto con il Ministero per i beni culturali e ambientali. Eventuali dissensi tra il Ministero dell’ambiente ed il Ministero competente per la realizzazione dell’opera sono rimessi al Consiglio dei Ministri.
118 Integrato dal D.P.R. 11 febbraio 1998.
119 Numerose questioni sono state approfondite in dottrina ed in giurisprudenza circa la legittimità della attuazione di parti significative delle Dir. 85/377 a cura di una fonte normativa secondaria: tale scelta, se giustificata da ragioni di complessità tecnica e da esigenze di semplice modificabilità della normazione a causa della continua evoluzione del piano scientifico retrostante, ha posto particolari problemi in relazione al fatto che l’art. 17 del D.P.R. n° 203/1988 consentiva l’approvazioni di norme regolamentari solo limitatamente alla procedura relativa all’autorizzazione delle centrali, e non anche per la localizzazione delle stesse (sul punto cfr. R. D’Alessio, La valutazione di impatto ambientale (voce), in Enciclopedia Giuridica Treccani; M. Luciani, La localizzazione delle centrali elettriche. Problemi giuspubblicistici, in Riv. giur. amb., 1990, p. 61.
120 I due decreti del 1988, unitamente all’art. 6 L. n° 369/1986 sono stati ritenuti costituenti un’applicazione – seppure parziale – della Dir. 85/337 (cfr., sul punto, Corte Cost., sentenza 28 maggio 1987 n° 210, in Foro It., 1988, 232; nonché  T.A.R. Lazio, sez. I, sentenza 21 settembre 1988 n° 1272, in Giur. It., 1992, parte III, sez. I, colonna 516 (“[…] l’art. 6 L. 8 luglio 1986 n. 349 [… ] come è noto, ha inteso introdurre nel nostro ordinamento, quanto meno in parziale attuazione della direttiva CEE 85/337, un regime temporaneo e transitorio – da valere fino alla completa attuazione con legge delle direttive in materia di impatto ambientale – per i procedimenti di via.”). Tale linea
La legge istitutiva del Ministero dell’ambiente prevede, a livello generale, una procedura così strutturata: il soggetto che vuole realizzare l’opera di “rilevante” impatto ambientale presenta un progetto al Ministro dell’ambiente, al Ministero per i beni culturali ed ambientali ed alla regione interessata116; dalla data di comunicazione decorrono novanta giorni entro i quali la procedura principale di approvazione dell’opera resta sospesa in attesa della pronuncia di compatibilità ambientale117.
Il comma 9 dell’art. 6 prevede una particolare forma di partecipazione, attribuendo a “qualsiasi cittadino” la possibilità di formulare per iscritto “istanze, osservazioni o pareri sull’opera soggetta a valutazione di impatto ambientale, nel termine di trenta giorni dall’annuncio della comunicazione del progetto”.
Successivamente, a mezzo dei citati d.p.c.m., sono state individuate le categorie di opere da sottoporre a v.i.a. (d.p.c.m. 10 agosto 1988 n° 377118, il quale contiene anche, all’art. 5, la disciplina delle forme di pubblicità), le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale (d.p.c.m. 27 dicembre 1988, il cui Allegato IV – “procedure per i progetti di centrali termoelettriche e turbogas”119, adottato in applicazione del secondo periodo del comma 2 dell’art. 17 D.P.R. 24 maggio 1988 n° 203 – disciplina, all’Art. 7, la procedura di inchiesta pubblica)120; mentre con il D.P.R. 12 aprile 1996121
interpretativa si fonda, soprattutto, sul fatto che lo stesso comma 2 dell’Art. 6 L. n° 349/1986 ha previsto che “le norme tecniche e le categorie di opere […] sono individuate conformemente alla direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n. 85/337 del 27 giugno 1985.”: è chiaro che il D.P.C.M. di attuazione dell’Art. 6 non avrebbe potuto che “muoversi nel solco della direttiva che non dà alcun potere nell’ambito dei progetti compresi nell’allegato I e, pertanto, non può che essere limitato a disciplinare la VIA per i progetti di cui al’allegato II” (cfr. ancora T.A.R. Lazio, sez. I, sentenza 21 settembre 1988 n° 1272, in Giur. It., 1992, parte III, sez. I, colonna 516).
121 Che assegna (art. 2) alla v.i.a. la finalità per cui “[…] d) siano garantite l’informazione e la partecipazione dei cittadini al procedimento […]” ed attribuisce (Art. 4) alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano l’individuazione del “d) le eventuali modalità, ulteriori rispetto a quelle indicate nel presente atto, per l’informazione e la consultazione del pubblico […]”. 
122 Tra le cui forme è prevista anche l’inchiesta pubblica.
123 Cfr. art. 48, comma 1, lett. a) D. Lgs. n° 152/2006.
124 Cfr. art. 4, comma 1, lett. b), punto 5).
125 Cfr. art. 5, comma 1, lett. q): “pubblico: una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai sensi della legislazione o della prassi nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone”.
126 Cfr. art, 5, comma 1, lett. r): “pubblico interessato: il pubblico che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale, o che ha un interesse in tali procedure; ai fine della presente definizione le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente e che soddisfano i requisiti previsti dalla normativa statale vigente, nonché le rappresentanze qualificate degli interessi economici e sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA) si considerano titolari di siffatto interesse”.
127 Cfr. art. 5, comma 1, lett. s): “soggetti interessati: chiunque, tenuto conto delle caratteristiche socio-economiche e territoriali del piano o programma sottoposto a valutazione di impatto strategico o del progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale, intende fornire elementi conoscitivi e valutativi concernenti i possibili effetti dell’intervento medesimo”.
128 Cfr. art. 5, comma 1, lett. p): “consultazione: l’insieme delle forme di partecipazione, anche diretta, delle altre amministrazioni e del pubblico interessato nella raccolta e valutazione dei dati ed informazioni che costituiscono il quadro conoscitivo necessario per esprimere il giudizio di compatibilità ambientale di un determinato piano o programma o di un determinato progetto”.    
129 Cfr. art. 29, comma 2, D. Lgs. 3 aprile 2006 n° 152.
sono state individuate (Allegato A e B) le categorie di opere relativamente alle quali è stato demandato al legislatore regionale assicurare  “l'attuazione della procedura di valutazione di impatto ambientale […] nel rispetto delle disposizioni della direttiva 85/337/CEE”, e sono stati individuali i contenuti delle misure di pubblicità (art. 8) e di partecipazione al procedimento122 (art. 9).
La normativa dettata dalla Legge istitutiva del Ministero dell’ambiente e quella contenuta nel D.P.R. 12 aprile 1986 sono state abrogate dal D. Lgs. n° 152/2006123 recante “Norme in materia ambientale”. Il Codice Ambiente riordina – tra le altre cose – la disciplina della v.i.a. avendo come obiettivo quello di “favorire la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di piani e programmi in materia ambientale”124; fornendo una definizione legale di “pubblico”125, di “pubblico interessato”126, di “soggetti interessati”127, e di “consultazione”128.
Per quanto qui di interesse, occorre specificare che la normativa sopra esposta – relativamente alla quale si è ritenuto opportuno spendere alcuni cenni, utili, quanto meno, al fine di un complessivo inquadramento, anche sul piano storico, degli istituti qui trattati – è stata abrogata dal Codice dell’Ambiente, il quale ha introdotto una nuova disciplina – peraltro non così dissimile da quella previgente – sia della v.i.a. che dell’inchiesta pubblica.
Limitando la trattazione delle novità legislative a quest’ultimo istituto, la disciplina di riferimento a livello nazionale è attualmente contenuta nell’art. 29 del Codice (rubricato “partecipazione”) il quale prevede la possibilità per l'autorità competente alla valutazione dell'impatto ambientale di “disporre lo svolgimento di un'inchiesta pubblica per l'esame dello studio presentato dal committente o proponente, dei pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e delle osservazioni del pubblico”129
Il comma 4 prevede, nel caso in cui “non abbia luogo l'inchiesta”, che il committente o il proponente possa “anche su propria richiesta, essere chiamato dall'autorità competente, prima della conclusione della procedura, ad un sintetico contraddittorio con i soggetti che hanno presentato pareri o osservazioni. Il verbale del contraddittorio è acquisito e valutato ai fini del giudizio” di compatibilità ambientale.
Il successivo comma 5 regola l’ipotesi  in cui il committente o il proponente intenda giovarsi delle risultanze emerse in sede di inchiesta o di contraddittorio, manifestando l’intenzione di “uniformare, in tutto o in parte, il progetto ai pareri o osservazioni, oppure ai rilievi emersi nel corso dell'inchiesta pubblica o del contraddittorio”.

3. La valutazione di impatto ambientale dei progetti di impianto di produzione di energia elettrica: la partecipazione sociale e l’inchiesta pubblica. Un primo luogo normativo in cui è stata disciplinata l’inchiesta pubblica oggetto del presente lavoro è rappresentato dalla disciplina inerente la legislazione in materia di impianti energetici130; successivamente la procedura è stata estesa alla v.i.a. in materia di localizzazione delle centrali termoelettriche e turbogas (D.P.C.M. 27 dicembre 1988) ed alle altre tipologie di opere soggette alla v.i.a. regionale (D.P.R. 12 aprile 1996)131.
130 Cfr. art. 3 L. n° 8/1983.
131 Cfr. F. Fonderico, La tutela dell’ambiente, cit., p. 2091.
132 Sull’Allegato IV si veda A. L. De Cesaris, La valutazione di impatto ambientale nella C.E.E. e in Italia, in La valutazione di impatto ambientale, a cura di S. Nespor, Milano, Giuffrè,1991, p. 30 ss.
133 Almeno dal tenore letterale dell’art. 6 del D.P.C.M. n° 16100/1988 (“Il Ministro dell'ambiente, sulla base della documentazione ricevuta dall'ENEL e di cui all'art. 4, promuove ed attua la valutazione di impatto ambientale della centrale termoelettrica, o del relativo ampliamento, effettuando l'istruttoria tecnica e svolgendo l'inchiesta pubblica”), che non sembra lasciare margini in punto di an alla nomina del Presidente dell’inchiesta pubblica.
134 Il Presidente – assistito da 3 esperti designati dal Ministero dell'ambiente e da 3 esperti, di comprovata competenza nel settore, designati rispettivamente dalla regione, dalla provincia e dal comune interessati –,viene scelto tra i magistrati della giurisdizione amministrativa con qualifica di presidente di sezione del Consiglio di Stato, e viene nominato con decreto del Ministro dell'Ambiente, di concerto con il Ministro dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, sentito il Presidente della Regione interessata, subito dopo che l'ENEL abbia presentato il progetto di massima della centrale (o dell’ampliamento) unitamente al progetto di massima delle opere connesse e delle infrastrutture portuali, fluviali, stradali e ferroviarie ritenute necessarie, nonché allo studio di impatto ambientale secondo l’apposito schema predisposto dal Ministro dell'Ambiente ed il rapporto di sintesi del medesimo studio. Tale documentazione viene dall’Enel inviata, oltre che al Ministero dell'ambiente, anche alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente interessati dall’opera da realizzare.
L’Allegato IV132 (“Procedure per i progetti di centrali termoelettriche e turbogas“) al D.P.C.M. 27 dicembre 1988 n° 16100 (“Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all'art. 6, L. 8 luglio 1986, n. 349, adottate ai sensi dell'art. 3 del D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377”), stabilisce all’art. 6, in dettaglio, il procedimento e prevede, quale forma di estrinsecazione dello stesso, lo svolgimento dell’istruttoria tecnica e dell’inchiesta pubblica.
Quest’ultima è disciplinata in dettaglio dal successivo art. 7: l’inchiesta, che può essere qualificata come obbligatoria133, si svolge parallelamente all’istruttoria tecnica, quasi come se l’acquisizione di tutti gli elementi necessari alla decisione amministrativa si svolgesse su due piani distinti e paralleli, ciascuno dei quali particolarmente qualificato in relazione alla specifica informazione da acquisire.
Nominato il Presidente dell’inchiesta134, i tempi di questa sono scanditi – curiosamente135 – da un adempimento riservato all’ENEL, ossia dalla
135 Dal momento che l’adempimento di cui trattasi non è collegato ad alcuna sanzione a carico dell’ENEL e, quindi, in sostanza viene rimessa ad un soggetto privato l’emersione degli interessi collettivi e diffusi.  
136 Che deve essere rassegnata nel termine – ordinatorio, in assenza di apposita indicazione in senso contrario – di 60 giorni dalla definizione dell’istruttoria tecnica (che a sua vola deve concludersi entro 120 giorni dalla presentazione del progetto, e non dalla comunicazione della presentazione come, invece accade per l’inchiesta), ai sensi dell’Art. 8, comma 3, unitamente alle eventuali prescrizioni per l'esecuzione del progetto della centrale e delle relative infrastrutture.
137 Cfr. art. 9: “L'autorità competente alla valutazione dell'impatto ambientale può disporre lo svolgimento di un'inchiesta pubblica per l'esame dello studio presentato dal committente o dall'autorità proponente, dei pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e delle osservazioni dei cittadini”.
comunicazione dell’avvenuta presentazione del progetto – da effettuarsi ai sensi dell’art. 4 comma 6 – “sul più diffuso quotidiano locale e su uno nazionale”. Da tale pubblicazione decorre un doppio termine: un primo, a pena di decadenza, di quarantacinque giorni per “chiunque ne abbia interesse” per “fornire […] contributi di valutazione sul piano scientifico e tecnico attraverso la presentazione di memorie scritte strettamente inerenti l'installazione della centrale sul sito proposto e le sue conseguenze sul piano ambientale”; un secondo, meramente ordinatorio, a carico del Presidente dell’inchiesta, per “chiude[re] l'inchiesta pubblica e trasmette[re] al Ministero dell'ambiente le memorie presentate e le osservazioni dell'ENEL, con una relazione di sintesi delle attività svolte”.
Inchiesta pubblica ed istruttoria tecnica sono equiparate anche in punto di efficacia nell’ambito del sub-procedimento di v.i.a., dal momento che il giudizio finale di compatibilità ambientale formulato dal Ministro dell’Ambiente136 viene espresso “sulla base” dell’istruttoria tecnica e “delle risultanze dell'inchiesta pubblica e del parere della Regione”: ne consegue che la relazioni di sintesi dell’inchiesta ed il provvedimento di definizione dell’istruttoria tecnica possono essere configurate come pareri obbligatori ma non vincolanti, con l’effetto che il discostamento da essi deve essere motivato.
L’art. 9 D.P.R. 12 aprile 1996 (“Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'Art. 40, comma 1, della L. 22 febbraio 1994 n° 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale”), prevede la facoltà per l’autorità procedente di indire l’inchiesta pubblica137 “per l'esame dello studio presentato dal committente o dall'autorità proponente, dei pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e delle osservazioni dei cittadini”, osservazioni presentate in forma scritta – entro lo stesso  termine di quarantacinque giorni dalla comunicazione dell’avvenuta presentazione del progetto dell’opera da parte del committente o dell’autorità procedente previsto dall’Allegato IV D.P.C.M. 2 dicembre 1988 – da “Chiunque […] intende fornire elementi conoscitivi e valutativi concernenti i possibili effetti dell'intervento medesimo”.
L'inchiesta pubblica si conclude con una relazione sui lavori svolti e con un giudizio sui risultati emersi, che sono acquisiti e valutati – la norma lo prevede espressamente – ai fini del giudizio di compatibilità ambientale consistente in un giudizio motivato espresso prima dell'eventuale rilascio del provvedimento amministrativo che consente in via definitiva la realizzazione del progetto e comunque prima dell'inizio dei lavori.
Il comma 4 del citato art. 9 prevede un’ulteriore – e più tenue – forma di partecipazione, alternativa allo svolgimento dell’inchiesta pubblica: il proponente, o l’autorità proponente, possono chiedere di instaurare “un
sintetico contraddittorio con i soggetti che hanno presentato pareri o osservazioni” pervenuti ai sensi del comma 1.
L’efficacia della citata procedura si concreta nel fatto che “Il verbale del contraddittorio è acquisito e valutato” ai medesimi fini della relazione conclusiva dell’inchiesta pubblica, ossia ai fini dell’emissione del giudizio di compatibilità ambientale.
È possibile ricostruire i termini della concreta utilità e della effettiva vincolatività delle procedure previste dai commi 2 e 4 dell’art. 9 D.P.R. 12 aprile 1986 – oltre che in relazione all’obbligo di motivazione – anche alla luce del disposto del comma 5 della norma in esame, ove si prevede la possibilità per il committente l’opera di “uniformare, in tutto o in parte, il progetto ai pareri o osservazioni, ovvero ai rilievi emersi nel corso dell'inchiesta pubblica o del contraddittorio”, previa apposita richiesta all’autorità competente recante indicazione del tempo necessario.
In tal caso, al fine di garantire la massima esplicazione della spontanea adesione ai rilievi emersi in sede di inchiesta pubblica ovvero di contraddittorio, il legislatore ha attribuito alla richiesta di uniformare il progetto ai pareri o alle osservazioni l’idoneità ad interrompe il decorso del termine per l’ultimazione della procedura di v.i.a., che riprende il suo corso con il deposito del progetto modificato138.
138 È evidente che le modifiche in adesione ai pareri ed alle osservazioni potranno riguardare sia aspetti propriamente tecnici – ed in tal senso la partecipazione di soggetti tecnicamente qualificati potrebbe giovare il committente o il soggetto che realizza l’opera – sia aspetti di dettaglio in funzione esclusivamente preventiva del contenzioso giudiziario con i portatori di interessi collettivi e diffusi.
139 Se si interpreta in termini letterali l’espressione “Il committente, o l'autorità proponente, qualora non abbia luogo l'inchiesta di cui al comma 2, può, anche su propria richiesta, essere chiamato […] ad un sintetico contraddittorio […]”.
140 Adottati, anche in assenza di uno specifico riferimento relativo alla fase del contraddittorio, sempre dall’autorità competente alla formulazione del giudizio sulla compatibilità ambientale.
141 Stante la qualificazione in termini di “sintetico” operata dal legislatore, nonché l’assenza di elementi che lascino propendere per una ricostruzione della procedura in termini di durata, è possibile ritenere che la fase del contraddittorio si esaurisca in un’unica soluzione.
Dall’esame dell’art. 9 è possibile ricavare due distinte ed alternative procedure di partecipazione del pubblico, l’inchiesta pubblica ed il contraddittorio le quali, tranne che relativamente al termine di presentazione delle osservazioni nonché relativamente all’efficacia dei rispettivi atti conclusivi, si differenziano sotto alcuni profili.
Innanzitutto, si distinguono quanto al soggetto che ne può richiedere l’attivazione: l’inchiesta pubblica viene disposta a cura dell’autorità competente alla formulazione del giudizio di compatibilità ambientale, mentre il contraddittorio può essere disposto – oltre che dall’autorità competente139 – su richiesta del committente o dell’autorità proponente.
Inoltre, le due procedure si concludono con differenti atti amministrativi140: l’inchiesta pubblica termina con la redazione di una relazione sui lavori svolti e con la formulazione di un giudizio sui risultati emersi, mentre del contraddittorio141 si redige semplicemente un verbale.
L’identità di efficacia degli atti conclusivi dell’inchiesta e del contraddittorio lascia aperta la questione della opportunità di predisporre due strumenti differenti ed, in apparenza, identici. Nel tentativo di fornire un’interpretazione, pare non potersi comunque prescindere dalla valorizzazione dell’espressione “ […] qualora non abbia luogo l'inchiesta […]”: poiché questa può essere
disposta solo dall’autorità competente, al committente o all’autorità proponente verrebbe riservato il compito di stimolare il confronto. Ma tale interpretazione viene subito limitata dal fatto che anche in relazione al contraddittorio è riconosciuto un potere di iniziativa dell’autorità competente, alla quale, in definitiva, viene ad essere rimessa la decisione discrezionale di attivare o l’inchiesta o il contraddittorio.
In buona sostanza, quindi, alla luce dell’ampia facoltà riconosciuta all’autorità competente, ed in relazione alla differenza sopra evidenziata dei termini temporali dell’inchiesta e del contraddittorio, è possibile ritenere che l’autorità competente indirà l’inchiesta solo nei casi in cui le osservazioni del pubblico ed i pareri delle pubbliche amministrazioni siano di una complessità tale da ritenere uno studio particolarmente accurato; nel caso contrario sarà sufficiente disporre un semplice contraddittorio.

4. Gli istituti di partecipazione. La partecipazione del pubblico viene prevista non solo per garantire l’applicazione dei principi comunitari di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, ma anche per prevenire – ed, in ipotesi, annullare – il rischio di contenzioso in sede giurisdizionale, sul piano della legittimità degli atti, nonché il rischio di “manifestazioni di piazza”, sul piano più squisitamente politico.
In tal senso, la v.i.a. ha una funzione preventiva anche in relazione all’impatto sociale dell’opera. Tale finalità comporta che il tavolo di dialogo sia portato avanti, preferibilmente in maniera contemporanea, oltre che sul piano propriamente tecnico (per valutare l’impatto tecnico), anche sui piani che potremmo chiamare “pubblico qualificato” e “pubblico indifferenziato”: ove con la prima espressione si intende quel pubblico in capo al quale possano sussistere interessi concorrenti rispetto a quelli del proprietario/utilizzatore dell’opera da realizzare; mentre con la seconda si intende riferirsi ai soggetti portatori di interessi collettivi e diffusi.
È chiaro che una partecipazione così strutturata deve essere adeguatamente rapportata con i vincoli temporali di realizzazione dell’opera, nonché con il rispetto del principio del procedimento minimo.
 Nell’ambito della valutazione di impatto ambientale, la dottrina si è particolarmente interrogata sui profili strutturali: in particolare su come essa potesse conciliarsi con i tratti tipici del procedimento amministrativo, inteso questo non nell’accezione restrittiva e sminuente di semplice procedura ma nell’accezione estensiva di luogo privilegiato ove consentire l’emersione degli interessi pubblici e privati incisi dalla decisione amministrativa.
Ne consegue che, in una lettura dell’istituto che tenga conto di tale potenzialità del procedimento amministrativo, i profili strutturali della v.i.a. emergono in maniera particolarmente evidente nell’inchiesta pubblica142.
142 Definita, con terminologia statunitense, procedimento “quasi judicial”. Alcuni Autori (tra i quali P. Dell’Anno, La valutazione di impatto ambientale: problemi di inserimento nell’ordinamento italiano, Maggioli, Rimini, 1987, p. 51) non condividono l’adozione di tale strumento, essendo un “modello procedimentale che sembra introdurre elementi di imparzialità e di razionalità nel sistema della valutazione ambientale, ma presuppone da un lato assoluta credibilità delle istituzioni e dall’altro che la scelta finale sia solo un momento tecnico-formale”, mentre, invece, accogliendo la teoria statunitense che fa dell’ambiente un elemento da valutare unitamente a economia e tecnologia, la via dovrebbe essere uno strumento affidato esclusivamente alla decisione politica.
Tale procedimento, consta di una fase amministrativa e di una fase giurisdizionale, nella quale ultima il soggetto che dirige l’inchiesta si sostituisce, mediante l’adozione di schemi analoghi a quelli processuali, nell’adozione della decisione143.
143 Un esempio notevole di inchiesta pubblica è costituito dall’ “enquête publique” disciplinata dalla Loi n° 83-630, 12 julliet 1983, Enquête pubblique et protection de l’environment, procedura nella quale il Presidente del Tribunale Amministrativo della circoscrizione è il responsabile della conduzione dell’ enquête.
144 Cfr. art. 3, L. n° 8/1983. 
145 Cfr. L’All. IV, D.P.C. 27 dicembre 1988.
146 Cfr. L’art. 9, D.P.R. aprile 1996.
147 Pubblicata nel B.U.R. Marche 22 aprile 2004 n° 40.
148 art. 10, comma 1, lett. b), L. Reg. Marche n° 40/2004.
149 art. 10, comma 4, L. Reg. Marche n° 40/2004.
150 Il legislatore marchigiano mostra di aderire all’orientamento per il quale può definirsi diffuso solo l’interesse che sia tutelato da un organismo esponenziale, in contrasto con la dottrina più rigorosa che definisce collettivo interesse sponsorizzato da un soggetto referente. 
Presente ora nel nostro ordinamento in maniera generalizzata, dopo che è stata introdotta prima dalla legislazione in tema di impianti energetici144, poi disciplinata disposizioni sulla Via delle centrali termoelettriche a turbogas145, attualmente è estesa anche alle altre tipologie di impianti soggetti a Via regionale, seppure facoltativamente146.

5. La legislazione regionale: rassegna ricognitiva. Come è stato sopra esposto, l’inchiesta pubblica trova il suo luogo normativo nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale. Prima di procedere alla disamina della normativa regionale occorre dare contro di un elemento significativo, che importa una delimitazione della presente indagine: non tutte le legge regionali che hanno introdotto una disciplina della via hanno altresì provveduto a disciplinare l’inchiesta pubblica; alcune normative regionali, invece, conoscono (sotto differente terminologia) istituti simili.

La Legge Reg. Marche 14 aprile 2004 n° 7 (“Disciplina della procedura di valutazione di impatto ambientale”)147 tratta dell’inchiesta pubblica all’art. 10: dopo una norma di principio di ampio respiro, che garantisce, in tutte le fasi della procedura di v.i.a., “l'informazione e la partecipazione dei cittadini al procedimento”148 – significativamente evidenziando il forte legame che sussiste tra informazione-partecipazione e l’istituto in discorso – viene previsto che “L'autorità competente promuove d'ufficio o su richiesta dei Comuni interessati o dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, in considerazione della particolare rilevanza degli effetti ambientali o del valore dell'opera o intervento, un'inchiesta pubblica con gli enti ed i soggetti interessati per fornire una completa informazione sul progetto e sul SIA e per acquisire elementi di conoscenza e di giudizio, invitando il proponente e dandone adeguata pubblicità”149.
Si tratta, in sostanza di una mera facoltà per l’autorità competente, la quale può attivarsi sia d’ufficio che su richiesta di soggetti “portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati”150 o su richiesta dei Comuni: lo svolgimento materiale della procedura di inchiesta dovrebbe essere curato – almeno limitandosi al tenore letterale – dal soggetto proponente il progetto.
Lo scopo dell’inchiesta è apprezzabile sotto un duplice profilo: uno esterno, ossia consentire una ampia informazione – evidentemente ancor più ampia rispetto alla versione “base” di cui alla lettera b) sopra citata – sul progetto e sul SIA; uno interno, al fine di acquisire elementi di conoscenza e di giudizio e, in definitiva ed ultima analisi, apportare significativi benefici alla fase istruttoria del procedimento.
Non è di immediata percezione la differenza tra l’inchiesta pubblica, disciplinata dal comma 4, e la riunione pubblica disciplinata dal precedente comma 3, sempre esperibile nell’ambito della procedura di via: l’elemento differenziale sembrerebbe risiedere in due dati, sia nell’inversione dell’onere di attivazione151 sia nel risultato, limitandosi la riunione a garantire un’informazione sul progetto.
151 La riunione pubblica può essere chiesta da parte dei soggetti “ai quali possa derivare pregiudizio dalla realizzazione del progetto”.
152 Pubblicata nel B.U.R. Abruzzo 12 marzo 1999 n° 9.
153 art. 1, comma 1: “La presente legge ha per oggetto l'individuazione e la disciplina delle funzioni e dei compiti amministrativi, conferiti alla regione dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che richiedono l'unitario esercizio a livello regionale nonché la ripartizione e il conferimento agli enti locali e alle autonomie funzionali delle restanti funzioni amministrative, in attuazione dell'articolo 5, comma 1 della L.R. 12 agosto 1998, n. 72
154 Cfr. art. 11 L. Reg. Abruzzo n° 11/1999.
155 Mediante il rinvio all’art. 9, comma 1, della stessa legge. L’art. 9 è stato attuato con la D.G.R. Abruzzo 29 dicembre 1999 n° 2870 (”Direttive per l'attuazione degli artt. 9 e 10 della L.R. 3 marzo 1999, n. 11”), pubblicata nel B.U.R. Abruzzo 2 febbraio 2000 n° 6 (straordinario).
156 Il richiamo alla necessità rende sicuramente esperibile l’azione giurisdizionale dell’inadempimento.
157 Cfr. art. 11, comma 3, L. Reg. Abruzzo n° 11/1999.
La norma è priva di sanzioni: inoltre, il legislatore regionale ha riservato un ampio margine di discrezionalità all’autorità competete nel momento in cui ha assegnato a questa lo scrutinio sulla “particolare rilevanza degli effetti ambientali o del valore dell'opera o intervento”: ove l’autorità competente non ritenesse particolarmente rilevante l’interesse ambientale inciso dall’opera o il valore di questa, potrebbe rifiutarsi di promuovere l’inchiesta. Tale decisione potrà essere aggredibile giudizialmente partendo dalla motivazione.

La Legge Reg. Abruzzo 3 marzo 1999 n° 11 (“Attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112: Individuazione delle funzioni amministrative che richiedono l'unitario esercizio a livello regionale e conferimento di funzioni e compiti amministrativi agli enti locali ed alle autonomie funzionali”)152, adottata in attuazione del D. Lgs. 31 marzo 1998 n° 112153, disciplina l’istituto dell’inchiesta pubblica che “di norma” deve precedere “la realizzazione di opere, interventi o programmi di intervento che siano suscettibili di produrre rilevanti modificazioni degli assetti territoriali ed ambientali”154. La stessa norma stabilisce155 quali siano le procedure attraverso le quali individuare le categorie di opere per le quali l’inchiesta “è necessaria”156.
Quanto allo scopo, anche la legislazione abruzzese è informata ad una duplice finalità, esterna ed interna : “fornire una completa informazione sul progetto al pubblico” e “raccogliere osservazioni, proposte e controproposte al fine di acquisire tutti gli elementi necessari per una decisione ponderata sulla realizzazione dell'intervento”157.
La normativa abruzzese si distingue dalle altre nella misura in cui introduce un’eccezione (“opere e lavori incidenti su aree sottoposte a vincolo di tutela culturale o paesaggistica, a vincolo idrogeologico o forestale, sismico, o
comunque incidenti su interessi pubblici curati da amministrazioni diverse da quella procedente”)¸ in relazione alle quali “le determinazioni delle amministrazioni competenti al rilascio di atti di consenso comunque denominati sono acquisite in apposita audizione nell'ambito dell'inchiesta pubblica avente valore ed effetti di cui alla conferenza di servizi”: la norma determina anche tempi e modi della inchiesta158.
158 Cfr. art. 11, comma 5, L. Reg. Abruzzo n° 11/1999: “La durata dell'inchiesta deve essere stabilita dal commissario entro i cinque giorni successivi all'atto di nomina tenuto conto del numero delle amministrazioni cointeressate e dell'impatto dell'intervento sul quadro della disciplina di uso del territorio e non può comunque superare centottanta giorni, salvo motivata proroga, per ragioni eccezionali, non superiore a novanta giorni”.
159 Pubblicata nel B.U.R Toscana 28 aprile 1995 n° 33.
160 Cfr. art. 9, comma 1, L. reg. Toscana n° 68/1995: “La Giunta regionale può disporre lo svolgimento di un'inchiesta pubblica nei casi per i quali la grande estensione territoriale del progetto, ovvero la particolare rilevanza degli effetti ambientali o l'alto valore del territorio interessato rendono necessario un pubblico accertamento dell'effettiva informazione e partecipazione dei cittadini circa gli interventi che interessano il loro territorio e le loro condizioni di vita, nonché l'acquisizione di ulteriori elementi di conoscenza e di giudizio in funzione della V.I.A. e della definizione di garanzie e misure di mitigazione e di controllo sugli effetti negativi dell'impatto ambientale”.
161 Il citato art. 9 è stato oggetto di esame da parte del T.a.r. Toscana, il quale con sentenza 1 marzo 2005 n° 978 ha ritenuto facoltativa e non obbligatoria la convocazione dell’inchiesta pubblica.
162 Pubblicata in B.U.R. Toscana 12 novembre 1998 n° 3
163 Mentre sono stati mantenuti i riferimenti alla “particolare rilevanza degli effetti ambientali” ed all’ “alto valore dell'opera”.
164 Cfr. art. 15, comma 1, L. Reg. Toscana n° 79/1998. 
165 Indicate dall’art. 18, comma 2, L. Reg. Toscana n° 79/1998.
166 Cfr. art. 15, comma 2, L. Reg. Toscana n° 79/1998: “l'autorità competente nomina, entro 15 giorni dall'indizione dell'inchiesta pubblica, un comitato presieduto dal Garante per l'informazione, e composto da due esperti rispettivamente designati dalla autorità competente, e dalle altre Amministrazioni interessate. Il comitato può altresì essere integrato da un esperto indicato dai cittadini interessati, con le modalità a tal fine definite dall'autorità competente”.
167 Cfr. art. 15, comma 4, L. Reg. Toscana n° 79/1998.
168 Cfr. art. 9, comma 9, L. Reg. Toscana n° 68/1995.

La Legge Reg. Toscana 18 aprile 1995 n° 68 (“Norme per l'applicazione della valutazione di impatto ambientale”)159, prevedeva una disciplina piuttosto dettagliata dell’inchiesta pubblica disciplinandone casi160, tempi e luoghi di svolgimento nonché composizione dell’organo161. Tale normativa è stata integralmente abrogata dalla Legge Reg. Toscana 3 novembre 1998 n° 79 (“Norme per l'applicazione della valutazione di impatto ambientale”)162, la quale all’art. 15 (“inchiesta pubblica e contraddittorio”) si occupa dell’inchiesta pubblica sostituendo la disciplina previgente ed introducendo alcune modifiche. Più specificamente: in relazione ai casi nei quali indire l’inchiesta pubblica è stato eliminato il riferimento alla “grande estensione territoriale del progetto”163 mentre è stato inserito il riferimento alla “possibilità che dalla realizzazione del progetto possa conseguire la riduzione significativa e/o irreversibile delle risorse naturali del territorio in riferimento agli equilibri degli ecosistemi di cui sono componenti”164 e sono state escluse alcune categorie di opere165; in relazione alla  composizione dell’inchiesta è stata prevista una particolare procedura di nomina del comitato che deve procedere all’inchiesta166; è stato aumentato il termine di conclusione dell’inchiesta, da novanta a centocinquanta giorni dall’inizio della stessa167; è stata ridotta la portata vincolante delle risultanze dell’inchiesta, passando da un sistema in cui “la pronuncia di impatto ambientale deve rendere conto motivatamente delle osservazioni e memorie presentate nel corso dell'inchiesta”168 ad un altro in cui il “giudizio conclusivo […] viene acquisito e valutato ai fini della pronuncia di
compatibilità ambientale”169; è stata introdotta la possibilità di sviluppare ulteriormente i lavori dell’inchiesta, mediante richiesta formulata dal soggetto proponente il quale dichiari di intendere “uniformare, in tutto o in parte, il progetto ai pareri, alle osservazioni ovvero ai rilievi emersi nel corso dell'inchiesta pubblica […] indicando il tempo necessario”170.
169 Cfr. art. 15, comma 4, L. Reg. Toscana n° 79/1998.
170 Cfr. art. 15, comma 5, L. Reg. Toscana n° 79/1998: “in tal caso la richiesta interrompe il termine della procedura, che riprende il suo corso con il deposito del progetto così modificato”.
171 Sulla portata vincolante di tale processo verbale, lungi dal potersi qualificare come vincolante in termini di risultato, pare potersi affermare che non possa non essere menzionato in sede di motivazione della pronuncia di compatibilità ambientale, pena l’illegittimità di questa.
172 Pubblicata nel B.U.R. Basilicata 21 dicembre 1998 n° 73.
173 Cfr. art. 9, comma 1, L. Reg. Basilicata n° 47/1998: “Gli Enti, le associazioni, i comitati rappresentanti di categoria o di interessi collettivi, le associazioni di protezione ambientale, i cittadini, singoli od associati, interessati all'opera, possono presentare all'Ufficio Regionale Competente osservazioni, istanze, pareri entro 45 giorni dall'avvio del procedimento di V.I.A.”.
174 Come variante si prevede – analogamente a quanto stabilito dalla L. Reg. Toscana n° 79/1998 – che “Il soggetto proponente può chiedere all'Ufficio regionale competente di convocare uno specifico contraddittorio con i soggetti che hanno presentato pareri o osservazioni. Il verbale del contraddittorio è acquisito e valutato ai fini del giudizio di cui all'art. 6” (cfr. art. 9, comma 4, L. Reg. Basilicata n° 47/1998). Nel caso in cui “il soggetto proponente intende uniformare il progetto, in tutto o in parte, ai pareri o osservazioni, ovvero ai rilievi emersi nel corso dell'audizione pubblica, delle consultazioni o del contraddittorio, ne fa richiesta all'Ufficio regionale competente, indicando il tempo necessario. La richiesta interrompe il termine della procedura che riprende il suo corso con il deposito del progetto modificato” (Cfr. art. 9, comma 5, L. Reg. Basilicata n° 47/1998).
La modifica del 1998 ha introdotto, inoltre, la possibilità per il proponente la realizzazione dell’opera, nel caso in cui l’amministrazione non abbia indetto l’inchiesta pubblica, di richiedere – prima della conclusione della procedura – un sintetico contraddittorio con i soggetti che abbiano presentato pareri od osservazioni: di tale contraddittorio viene redatto processo verbale che resta acquisto agli atti del procedimento e del quale l'autorità competente tiene conto ai fini della pronuncia di compatibilità ambientale171.

La Legge Reg. Basilicata 14 dicembre 1998 n° 47 (“Disciplina della valutazione di impatto ambientale e norme per la tutela dell'ambiente”)172, costituisce, probabilmente, l’applicazione meno felice dell’istituto dell’inchiesta pubblica. Tale legge non disciplina in maniera organica l’inchiesta (alla quale non assegna, contrariamente alle altre normative regionali, un apposito articolo) ma si occupa, più genericamente della fase di valutazione nel giudizio di compatibilità ambientale: le norme di riferimento sono costituite dall’art. 9 – rubricato “Istanza del pubblico interessato e contraddittorio” – e dall’art. 10 – rubricato “Audizione pubblica” – della L. Reg. n° 47/1998, i quali disciplinano detti istituti partecipativi.
Più specificamente, l’art. 9 individua una serie di soggetti173 che, nell’ambito di un procedimento di v.i.a.,  possono presentare osservazioni, istanze, pareri entro un certo termine dall’avvio del procedimento di valutazione: a seguito della presentazione di tali istanze l’amministrazione – nella persona del Dirigente generale del Dipartimento sicurezza sociale e politiche ambientali che ha il compito di sentire l'Ufficio regionale competente – “promuove consultazioni e udienze conoscitive con soggetti, istituzioni e associazioni interessate o che hanno presentato osservazioni al fine di informare, acquisire elementi di conoscenze, indicare misure di mitigazione e controllo”: in pratica, anche sotto differente percorso, l’effetto conseguito è il medesimo – duplice, interno ed esterno – che si è detto proprio dell’inchiesta pubblica174.
Sempre l’art. 9 prevede una forma generale di applicazione del principio di pubblicità, ove stabilisce che “una copia degli elaborati presentati per la v.i.a. è depositata presso l'Ufficio regionale competente a disposizione del pubblico”175. Tale norma consente di collegarsi con il successivo Art 10 il quale, proprio a proposito della fase in cui il pubblico esamina gli elaborati, prevede che questi possa essere consultato “anche su iniziativa della Giunta regionale che, per opere di particolare rilevanza, può indire entro 60 giorni dall'avvio del procedimento un'audizione pubblica”176. Al di là della differente denominazione, l’audizione pubblica è in parte dissimile all’inchiesta pubblica – anche se in alcuni luoghi della stessa norma viene anche usata questa terminologia – sia per quanto concerne le forme partecipative ed organizzative, sia in punto di effetti giuridici prodotti: infatti, la norma si limita a riconoscere che dell’audizione viene redatto processo verbale a cura del Segretario – che lo sottoscrive e lo trasmette all’amministrazione regionale – che viene poi inviato entro un certo termine (ordinatorio) dalla conclusione dell’audizione.
175 Cfr. art. 9, comma 2, L. Reg. Basilicata n° 47/1998.
176 Cfr. art. 10, comma 1, L. Reg. Basilicata n° 47/1998.
177 Pubblicata in B.U.R. Molise 1 aprile 200 n° 7.
178 Pubblicata nel B.U.R. Calabria 19 gennaio 2005 s.s. n° 3 al B.U.R. Calabria 15 gennaio 2005 n° 1.

La normativa molisana si caratterizza per una ulteriore – rispetto a quella adottata dalle altre regioni – definizione della procedura di partecipazione, denominata “pubblica Assembra”: l’art. 6, comma 5, della Legge Reg. Molise 4 marzo 2000 n° 21 (“Disciplina della procedura di impatto ambientale”)177, significativamente rubricato “istruttoria”, prevede che “il Comitato Tecnico VIA, per opere di particolare rilevanza, può richiedere la convocazione di una pubblica Assemblea per informare il pubblico e recepire eventuali osservazioni o proposte”. In realtà, la pubblica assemblea, almeno in prima lettura, sembra potersi distinguere dalle altre forme di partecipazione (inchiesta, audizione, istruttoria) disposte dalle varie normative regionali almeno stando ai seguenti profili: la richiesta di convocazione non proviene dall’amministrazione competente né dal soggetto che deve realizzare l’opera, bensì dal comitato v.i.a.; la procedura non è scandita quanto a tempi e formalità, sicché è dato ritenere che potrebbe, in ipotesi, risolversi anche in un’unica convocazione; non è prevista la forma, alternativa, del contraddittorio. Unico elemento di contatto con l’inchiesta pubblica è data dalle finalità dell’assemblea, la quale ha lo scopo sia di informare che di acquisire indicazioni da spendere in fase istruttoria.

La normativa della Regione Calabria, in tema di inchiesta pubblica, è contenuta nella D.G. Reg. Calabria 12 ottobre 2004 n° 736 (“Procedura di Valutazione di Impatto Ambientale ai sensi del D.P.R. 12 aprile 1996 – Approvazione disciplinare”)178, che prevede che, nella procedura di v.i.a., “chiunque può […] prendere visione degli elaborati depositati e presentare, in forma scritta, osservazioni all'autorità competente”. In tal caso, è rimessa alla discrezionalità
dell’amministrazione competente – “nei casi di particolare rilievo”179 – la facoltà di promuovere un’inchiesta pubblica “con le amministrazioni, le associazioni ed i soggetti interessati per fornire una completa informazione sul progetto e sul SIA e per acquisire elementi di conoscenza e di giudizio in funzione della valutazione di impatto ambientale (VIA)”180.
179 Sulla decisione che individua tali casi è ovviamente consentito il ricorso in sede giurisdizionale, sulla base dei principi generali dell’azione amministrativa nonché del principio di cui all’art. 3 L. n° 241/90).
180 Cfr. art. 12, comma 2, D.G.R. Calabria n° 736/2004. La norma prevede, altresì, che “alla istruttoria è data adeguata pubblicità”.
181 Cfr. art. 12, comma 2, D.G.R. Calabria n° 736/2004: “il committente, o l'autorità proponente, qualora non abbia luogo l’inchiesta di cui al comma 2, può, anche su propria richiesta, essere chiamato, prima della conclusione della procedura, ad un sintetico contraddittorio con i soggetti che hanno presentato pareri o osservazioni. Il verbale del contraddittorio è acquisito e valutato ai fini del giudizio di compatibilità”.
182 Pubblicata in B.U.R. Calabria 16 aprile 2002 n° 7.
183 Cfr. art. 16, comma 1, lett. b), L. Reg. Calabria n°19/2002. Il legislatore calabrese aderisce, quindi, alla teoria che definisce diffusi anche gli interessi che abbiano trovato un soggetto esponenziale.
184 Cfr. art. 16, comma 2, L. Reg. Calabria n°19/2002.
185 Cfr. art. 16, comma 3, L. Reg. Calabria n°19/2002: “nell'ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive, è garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento attraverso la più ampia pubblicità degli atti e documenti concernenti la pianificazione ed assicurando il tempestivo ed adeguato esame delle deduzioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o meno delle stesse”.
186 Pubblicata in B.U.R. Calabria 11 settembre 2001 n° 94.
187 Quindi anche nei procedimenti di v.i.a. relativi ad opere di competenza regionale.
La norma prevede, poi, un istituto simile a quello già esaminato in relazione alla normativa toscana, il contraddittorio, nel caso in cui l’amministrazione non abbia indetto l’inchiesta pubblica181.
La legislazione calabrese conosce, poi, interessanti misure partecipative volte ad assicurare – in una misura che probabilmente è la più ampia tra quelle regionali esaminate nel presente lavoro – la pubblicità e la partecipazione, anche in specifica relazione agli interessi diffusi. La Legge Reg. Calabria 16 aprile 2002 n° 19 (“Norme per la tutela, governo ed uso del territorio - legge urbanistica della Calabria”)182 stabilisce che costituiscono “componenti essenziali” dei procedimenti di formazione ed approvazione degli strumenti di governo del territorio “specifiche forme di pubblicità e di consultazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela d'interessi diffusi”183. La stessa norma, dopo aver previsto che “gli Enti locali possono prevedere che, nei medesimi procedimenti, ai sensi del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 e della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni ed integrazioni, siano previste ulteriori forme di pubblicità e di consultazione oltre a quelle della presente legge”184, inserisce una disposizione che non trova simili nella normativa regionale di settore, stabilendo che l’amministrazione debba assolvere ad uno specifico onere di motivazione relativamente alle deduzioni presentate dai soggetti intervenuti185.
La normativa regionale calabrese si caratterizza, inoltre, per la sua particolare ampiezza in tema di interessi diffusi: infatti, in ambito del tutto distinto dalla tutela ambientale (in riferimento al quale tutte le altre legislazioni regionali contemplano l’istituto dell’inchiesta pubblica) ma tuttavia in guisa tale da essere  applicabile anche in questo specifico settore, la Legge Reg. Calabria 4 settembre 2001 n° 19 (“Norme sul procedimento amministrativo, la pubblicità degli atti ed il diritto di accesso. disciplina della pubblicazione del bollettino ufficiale della Regione Calabria”)186 all’art. 17 (rubricato “audizioni pubbliche”) prevede che nei procedimenti di competenza della Giunta Regionale187
“qualora sia opportuno un esame preventivo e contestuale dei vari interessi pubblici e privati coinvolti […] l'Assessore competente può proporre al Presidente di promuovere un'audizione dei soggetti interessati a norma del presente articolo”188. I commi successivi regolano tempi e procedura delle audizioni, stabilendo, infine, la portata vincolante delle risultanze dei lavori, prevedendo espressamente che “il provvedimento conclusivo del procedimento dà atto dell'avvenuto espletamento dell'audizione”189.
188 Cfr. art. 17, comma 1, L.Reg. Calabria n° 94/2001.
189 Cfr. al fine di conferire significato a tale disposizione, che altrimenti rischierebbe di risolversi in una mera norma di carattere organizzatorio, non sembra peregrino intendere che essa implichi un onere di motivazione in ordine alle risultanze.
190 Pubblicata nel B.U.R. Sardegna 1° ottobre 2005 n° 30.
191 Cfr. art. 10, comma 2, D.G. Regione Sardegna 15 febbraio 2005 n° 5/11.
192 Pubblicata nel B.U.R. Piemonte 17 dicembre 1998 n° 50 (suppl.).
193 Cfr. art. 14 L. Reg. Piemonte n° 40/1998, comma 1 (“chiunque, tenendo conto delle caratteristiche del progetto e della sua localizzazione, intenda fornire elementi conoscitivi e valutativi concernenti i possibili effetti dell'intervento, ha facoltà di presentare in forma scritta all'autorità competente osservazioni, ivi comprese informazioni o contributi tecnico-scientifici, nei termini seguenti: a) per la fase di verifica, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione della notizia di avvenuto deposito di cui all'articolo 10, comma 2; b) per la fase di valutazione, entro quarantacinque giorni dalla data di avvenuto deposito di cui all'articolo 12, comma 2, lettera a)”) e comma 2 (“le osservazioni di cui al comma 1 sono messe a disposizione per la consultazione da parte del pubblico fino al termine della procedura di V.I.A. I provvedimenti conclusivi delle fasi di verifica e di valutazione danno conto delle osservazioni pervenute”).
194 Cfr. art. 14 L. Reg. Piemonte n° 40/1998, comma 3: “da aprirsi entro venti giorni dalla data di avvenuto deposito di cui all'articolo 12, comma 2, lettera a), e da concludersi con una relazione sui lavori svolti almeno trenta giorni prima del termine per l'espressione del giudizio di compatibilità ambientale di cui all'articolo 12, comma 3”.
195 Cfr. art. 14 L. Reg. Piemonte n° 40/1998, comma 5: “Quando il proponente intende modificare gli elaborati presentati in relazione alle osservazioni, ai rilievi emersi nell'ambito dell'inchiesta pubblica oppure nel corso del confronto di cui al comma 4, ne fa richiesta all'autorità competente, indicando il tempo necessario. La richiesta interrompe i termini della fase di valutazione: in questo caso l'autorità competente esprime il giudizio di compatibilità ambientale entro novanta giorni dalla presentazione degli elaborati modificati. L'autorità competente, ove ritenga che le modifiche apportate siano sostanziali e rilevanti, dispone che il proponente attui le disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2”.

Piuttosto scarna è, invece, la disciplina dettata dalla D.G. Regione Sardegna 15 febbraio 2005 n° 5/11 (“Modifica della Delib. G.R. 2 agosto 1999, n. 36/39. Procedure per l'attuazione dell'art. 31 della L.R. 18 gennaio 1999, n. 1 recante "Norma transitoria in materia di valutazione di impatto ambientale”)190, la quale si limita a porre in capo al proponente il progetto l’onere di presentarlo al pubblico: in sede di presentazione verranno acquisite le osservazioni “dei cittadini singoli e associati”191.

Risulta, invece, maggiormente completa la disciplina regionale piemontese, contenuta nella L. Reg. Piemonte 14 dicembre 1998 n° 40 (“Disposizioni concernenti la compatibilità ambientale e le procedure di valutazione”)192, la quale all’art. 14 disciplina le modalità di partecipazione. Tale norma, dopo una prima parte in cui sancisce il diritto alla partecipazione di tutti193, prevede sia la possibilità da parte dell’autorità competente di indire l’inchiesta pubblica194, sia la facoltà, da parte del soggetto proponente e nel caso in cui non si sia proceduto all’inchiesta, di richiedere “un confronto con i soggetti che hanno presentato osservazioni. Il verbale dell'incontro è acquisito e valutato ai fini del giudizio di compatibilità ambientale di cui all'articolo 12, comma 3. Resta ferma la facoltà dell'autorità competente di attivare momenti di informazione allargata e di pubblico dibattito cui è invitato il proponente”.
È, inoltre, previsto che il soggetto proponente possa modificare il progetto a seguito delle risultanze dell’inchiesta o del confronto195.

Di particolare interesse è la disciplina ligure, contenta nella Legge Reg. Liguria 30 dicembre 1998 n° 38 (“Disciplina della valutazione i impatto ambientale”)196 la quale, all’art. 11 (rubricato “Avvio del procedimento e partecipazione pubblica”), dopo aver indicato le formalità relativa allo studio di impatto ambientale ed aver predisposto un’ampia applicazione del principio di pubblicità197, stabilisce che “La Regione favorisce, di intesa con i Sindaci dei Comuni interessati, inchieste pubbliche, con particolare riguardo ai progetti assoggettati a procedura regionale”198. L’atto conclusivo dell’inchiesta viene acquisito e valutato ai fini dell’adozione del provvedimento finale.
196 Pubblicata nel B.U.R. Liguria 20 gennaio 1999 n° 1.
197 Cfr. art. 11, comma 3, L. Reg. Liguria n°38/1998: “Chiunque può prendere visione dello SIA, e può presentare, in caso di procedura statale, nel termine di trenta giorni dalla data di cui al comma 2, osservazioni scritte al Ministero dell'Ambiente e per conoscenza alla Regione, e, nel caso di procedura di competenza regionale, nel termine di quarantacinque giorni, alla Regione”.
198 La disposizione fa sorgere alcuni problemi in relazione alla competenza tra Regione e Stato, lasciando intendere la possibilità che la Regione indica l’inchiesta anche nei casi di parere di competenza statale.
199 Cfr. art. 11, comma 6, L. Reg. Liguria n°38/1998. Anche in tal caso l’istituto non è configurato come alternativo, ma l’attivazione della relativa procedura può essere richiesta solo se non si è proceduto all’inchiesta pubblica.
200 L’Agenda 21 costituisce il piano regionale per l’ambiente: essa “a) armonizza le politiche regionali dei diversi settori verso lo sviluppo sostenibile attraverso i metodi dell'interdisciplinarietà e della partecipazione; b) raccoglie gli obiettivi e le strategie di sviluppo della Regione e li orienta al fine di dare attuazione ai principi dello sviluppo sostenibile attraverso la definizione di indirizzi; c) fissa gli obiettivi, le strategie e le priorità della pianificazione ambientale ed energetica e costituisce l'aggiornamento del progetto ambiente di cui alla legge regionale 11 settembre 1991 n. 26 (progetto ambiente e partecipazione alla Società Regionale per l'Ambiente); d) coordina gli interventi ambientali della Regione e degli Enti locali e promuove la realizzazione di Agende 21 locali; e) definisce i criteri per la individuazione delle are a elevato rischio di crisi ambientale; f) individua, per i diversi comparti ambientali, gli obiettivi da raggiungere sulla base di specifici indicatori di riferimento e di verifica, definisce una specifica strategia di sostenibilità e determina gli strumenti” (Cfr. art. 11 L. Reg. Liguria n° 18/1999).
201 Pubblicata nel B.U.R. Liguria 14 luglio 1999 n° 10. 
202 Cfr. art. 12, comma 1, L. Reg. Liguria n° 18/1999.
203 Pubblicata in B.U.R. 6 settembre 1999 n° 36.
204 Cfr. art. 4, comma 3, L. Reg. Lombardia n° 20/1999: “La giunta regionale, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, redige l'elenco dei progetti da sottoporre ad inchiesta pubblica; definisce altresì le misure di pubblicità minime di cui all'art. 8, comma 2, del d.p.r. 12 aprile 1996 e predispone il registro con l'elenco dei progetti per cui è prevista la procedura di verifica”
Accanto all’inchiesta, anche la legislazione ligure disciplina l’istituto del contraddittorio199: il soggetto proponente la realizzazione dell’opera può essere chiamato, anche su propria richiesta, ad un contraddittorio con i soggetti che hanno presentato le osservazioni di cui al comma 3.
La disciplina ligure tratta poi dell’inchiesta pubblica relativamente alla procedura di approvazione dell’ “Agenda 21”200: dispone la L. Reg. Liguria 21 luglio 1999 n° 18 (“Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia”)201 che sui contenuti del documento l’Assessore competente indice e coordina l’inchiesta pubblica202.

La Regione Lombardia rientra tra quelle che si sono dotate di una disciplina organica della valutazione di impatto ambientale ma non dell’inchiesta pubblica: la L. Reg. Lombardia 3 settembre 1999 n° 20 (“Norme in materia di impatto ambientale”)203, all’art. 4 individua le vali della procedura di via, rinviando ad un atto regolamentare – una deliberazione di Giunta Regionale – l’individuazione dei progetti da sottoporre ad inchiesta pubblica204. Allo stato detta Deliberazione non risulta ancora adottata. 
Una disciplina di riferimento è, comunque, reperibile: la D.G.R. Lombardia 7 giugno 1996 n° 6/14095 (“Approvazione delle modalità procedurali di attuazione della Procedura A (valutazione di impatto ambientale di livello regionale) e della Procedura B (verifica di applicabilità della procedura di VIA) da applicarsi ai relativi progetti di piano di ricostruzione e sviluppo della Valtellina e delle adiacenti zone delle province di Bergamo, Brescia e Como (art. 5 della L. 2 maggio 1990, n. 102, e D.P.C.M. 4 dicembre 1992). Istituzione di un apposito gruppo di lavoro presso l'unità operativa organica VIA del servizio programmazione per l'area degli interventi sul territorio del settore urbanistica e territorio”)205, precedente alla disciplina organica della v.i.a. sopra indicata, prevede che nella fase istruttoria della procedura l’autorità competente possa prevedere l’indizione di un’inchiesta. La medesima D.G.R. riconosce alla Giunta Regionale la facoltà di “indire una inchiesta pubblica cui partecipano il committente o l'autorità proponente, gli altri soggetti pubblici e chiunque vi abbia interesse. Le modalità di svolgimento dell'inchiesta saranno successivamente definite con ulteriore provvedimento della Giunta regionale”206; idem per la “Provincia territorialmente interessata” che può  richiedere all'autorità competente l'indizione di una inchiesta pubblica per l'esame dello studio presentato dei pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e le osservazioni dei cittadini. L'inchiesta pubblica si conclude con una relazione sui lavori svolti ed un giudizio sui risultati emersi, che sono acquisiti e valutati ai fini del giudizio di compatibilità ambientale”207.
205 Pubblicata nel B.U.R Lombardia 30 luglio 1996 n° 31 I S.S.
206 Cfr. Punto 4.2.5 della D.G.R. citata.
207 Anche in tal caso la valutazione delle risultanze dell’inchiesta pubblica sarà sindacabile dal giudice amministrativo con particolare riguardo alla motivazione.
208 Pubblicata nel B.U.R. Veneto 30 marzo 1999 n° 29. La legge è stata modificata con la L. Reg. Veneto 27 dicembre 2000 n° 24 ma non in relazione alle parti citate nel presente lavoro.
209 Cfr. art. 18, comma 4, L. Reg. Veneto n° 10/1999.
210 Si riporta il testo per comodità espositiva: “Chiunque intenda fornire elementi conoscitivi e valutativi concernenti i possibili effetti dell'intervento medesimo può presentare alla struttura competente per la VIA, in forma scritta, osservazioni sull'impianto, opera o intervento soggetto alla procedura di VIA.”
211 Cfr. art. 18, comma 5, L. Reg. Veneto n° 10/1999.

La Regione Veneto si è dotata di una disciplina organica della v.i.a. ma non dell’inchiesta: la Legge Reg. Veneto 26 marzo 1999 n° 10 (“Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d'impatto ambientale”)208, all’art. 18 (“parere della commissione v.i.a.”) tratta dell’inchiesta come uno degli adempimenti in relazione ai quali è competente la commissione v.i.a.: prevede che la Commissione debba pronunciarsi anche sulle risultanze dell’inchiesta pubblica, che viene disposta dal Presidente della stessa Commissione facoltativamente209 “in relazione anche alle osservazioni di cui al comma 2 dell'articolo 16210” ovvero obbligatoriamente211 “qualora essa sia richiesta dal sindaco di uno dei comuni interessati”. Il successivo comma 6 fornisce anche una definizione legale di inchiesta pubblica, consistente “almeno nell'audizione, in contraddittorio con il soggetto proponente, di coloro che hanno presentato le osservazioni, da parte della commissione VIA e dei comuni e province interessati”.

La Legge Reg. Valle d’Aosta 18 giugno 1999 n° 14 (“Nuova disciplina della procedura di valutazione di impatto ambientale. abrogazione della legge regionale 4 marzo 1991, n. 6 (disciplina della procedura di valutazione dell'impatto ambientale)”)212 contiene la disciplina relativa alla v.i.a.: tale normativa non prevede l’istituto dell’inchiesta pubblica ma riconosce la possibilità per il Sindaco e per ciascun Assessore e Consigliere comunale dei Comuni interessati di “chiedere alla struttura regionale competente in materia di VIA l'illustrazione dello studio di impatto ambientale in una pubblica riunione, alla quale deve essere invitato il proponente”213. È evidente che tale facoltà condivide con l’inchiesta solo il fatto che si tratta di più soggetti riuniti in conferenza personale: la norma, peraltro scarna, non consente di dedurre alcunché né in relazione allo svolgimento dei lavori della riunione né in punto di efficacia delle determinazione assunte in quella sede. 
212 Pubblicata in B.U.R. Valle d’Aosta 22 giugno 1999 n° 28.
213 Cfr. art. 13, comma 4, L. Reg. Valle d’Aosta n° 14/1999.
214 Pubblicata in B.U.R. Basilicata 21 dicembre 1998 n° 73.
215 Conformemente a quanto espresso nella parte prima del presente lavoro, il lessico adottato dal legislatore lucano dimostra che lo stesso accede alla interpretazione – più rigorosa – che riserva la definizione di collettivi solo a quegli interessi che abbiano un soggetto esponenziale.
216 art. 9 , comma 4, L. Reg. Basilicata n° 47/1998.

La Basilicata rientra tra quelle Regioni che hanno introdotto l’inchiesta pubblica come istituto appositamente determinato – seppure sorto terminologia differente – prevedendone lo svolgimento nell’ambito della procedura di v.i.a., regolata questa con la Legge Reg. Basilicata 14 dicembre 1998 n° 47 (“Disciplina della valutazione di impatto ambientale e norme per la tutela dell'ambiente titolo i principi generali e opere soggette alla disciplina”)214. La complessiva disciplina deve essere ricavata da una lettura in combinato disposto dell’art. 9 e dell’art. 10 della citata legge regionale: l’art. 9, che costituisce attuazione del principio di pubblicità e partecipazione, stabilisce che “gli enti, le associazioni, i comitati rappresentanti di categoria o di interessi collettivi215, le associazioni di protezione ambientale, i cittadini, singoli od associati, interessati all'opera, possono presentare all'Ufficio Regionale Competente osservazioni, istanze, pareri”; l’art. 10 (rubricato “audizione pubblica”) prevede che, anche su iniziativa di tali soggetti, la Giunta Regionale “per opere di particolare rilevanza, può indire entro 60 giorni dall'avvio del procedimento un'audizione pubblica”. A tale audizione può partecipare ed intervenire “chiunque […] in ordine a questioni di carattere conoscitivo, tecnico e scientifico direttamente attinenti l'opera o intervento progettato ed i suoi effetti sull'ambiente”.
Dell’audizione il Segretario redige processo-verbale, poi trasmesso all'Amministrazione Regionale entro dieci giorni dalla data di ultimazione dell'audizione.
Oltre all’audizione pubblica di cui all’art. 10, la normativa in esame conosce un ulteriore istituto, disciplinato dall’art. 9: il contraddittorio. La richiesta deve provenire dal soggetto proponente ed essere rivolta all'Ufficio regionale competente, affinché sia convocato “uno specifico contraddittorio con i soggetti che hanno presentato pareri o osservazioni”216. Il verbale del
contraddittorio è acquisito e valutato ai fini del giudizio di compatibilità ambientale.
L’elemento differenziale tra l’audizione pubblica ed il contraddittorio – che nel caso in esame non sono configurati come alternativi e, quindi, in ipotesi potrebbero entrambi trovare svolgimento – sembra risiedere nel fatto che il contraddittorio dovrebbe essere limitato – anche in forza della terminologia che lo qualifica come “specifico” – al solo esame di osservazioni, istanze e pareri presentate dai soggetti abilitati in relazione al progetto sul quale si deve esprimere il giudizio di compatibilità ambientale; l’audizione pubblica – almeno nella versione adottata dalla regione Basilicata – sembrerebbe, invece, assolvere al dovere di pubblicità piuttosto che ad un fine di completezza istruttoria al quale, invece, sembra rivolto il contraddittorio.

Di “audizioni pubbliche” parla anche la L. Reg. Friuli Venezia Giulia 7 settembre 1990 n° 43 (“Ordinamento nella Regione Friuli Venezia Giulia della valutazione di impatto ambientale”)217, la quale prevede (art. 16, rubricato “consultazione del pubblico interessato”218) una convocazione regionale “quando ricorrano le condizioni previste dal regolamento di esecuzione”219 ed una a carattere territoriale220, a cura degli enti locali interessati, definita ulteriore ed autonoma rispetto a quella regionale, con la quale condivide il fine, ossia garantire la massima partecipazione221. Le audizioni si volgono secondo quanto disposto dal regolamento di esecuzione adottato con D.P.G.R. Friuli Venezia Giulia 8 luglio 1996 n° 245, art. 15222.
217 Pubblicata in B.U.R. Friuli Venezia Giulia 10 settembre 1990 n° 109. 
218 Anche la disciplina friulana, nel mentre disciplina gli istituti di partecipazione, contiene una norma programmatica relativa al rispetto ed all’applicazione del principio di pubblicità, ove stabilisce, al comma 1 del citato Art. 16, che “fino alla scadenza del termine perentorio di 20 giorni dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione del provvedimento di cui all'articolo 13, comma 1, possono essere presentate al Servizio per la valutazione dell'impatto ambientale osservazioni, istanze, pareri da parte del pubblico interessato”. Sempre in tema di partecipazione, l’art. 14 della L. Reg. Friuli Venezia Giulia n° 109/1990 prevede che “Un congruo numero dei riassunti di cui all' articolo 11, comma 2, lettera m) [n.d.r.: si riporta il testo per comodità: “Lo studio di impatto ambientale deve contenere i seguenti elementi […] un riassunto, di agevole interpretazione e riproduzione, delle informazioni trasmesse, corredato dagli elaborati grafici essenziali”], viene messo, a cura dell' Amministrazione regionale, a disposizione del pubblico interessato. Chiunque può richiedere ed ottenere il rilascio di copie o di estratti dello studio, dietro rimborso delle spese di riproduzione; il regolamento di esecuzione può prevedere particolari forme di agevolazione per il rilascio di copie ai cittadini di cui all' articolo 13, comma 3, lettera b).” Si riporta, per ulteriore comodità espositiva, il testo del richiamato comma 3: “per il pubblico interessato all' opera proposta si intende: a) gli enti, le associazioni, i comitati esponenziali di categorie o interessi collettivi coinvolti dalla realizzazione dell' opera ed in particolare le associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi dell' articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, ed operanti nella regione, sempreché sia pervenuta istanza all' Amministrazione regionale entro 10 giorni dalla pubblicazione del primo degli annunci di cui all' articolo 10, comma 2 [9]; b) i cittadini, singoli od associati, che siano residenti nei comuni di cui al comma 2 lettera a), e abbiano un interesse inerente alla realizzazione dell' opera, semprechè sia pervenuta istanza entro il termine di cui alla lettera a) del presente comma”.
219 Cfr. art. 16, comma 2, L. Reg. Friuli Venezia Giulia n° 43/1990.
220 Cfr. art. 16, comma 3, L. Reg. Friuli Venezia Giulia n° 43/1990.
221 Per tale fine l’art. 16, comma 3, rinvia all’art. 4 della stessa L. Reg. Friuli Venezia Giulia n° 43/1990, il cui testo si riporta per comodità espositiva: “1. La partecipazione dei cittadini alle procedure di VIA costituisce un requisito essenziale delle procedure medesime ed è finalizzata a: a) informare e rendere partecipi i cittadini delle iniziative e degli interventi proposti che interessino il loro territorio e le loro condizioni di vita, assicurando anche la conoscenza dei relativi progetti; b) acquisire elementi di conoscenza e di valutazione in funzione delle decisione finale; c) definire ulteriori garanzie e misure di controllo e di mitigazione. 2. L' autorità competente assicura l' adeguata e tempestiva informazione e consultazione preventiva di enti, associazioni e cittadini interessati in merito all' intervento proposto, allo studio di impatto ambientale delle procedure di VIA. 3. I costi dell' attività di informazione e di consultazione svolta dagli enti locali ai sensi della presente legge sono a carico del proponente la realizzazione dell' opera fino alla concorrenza dello 0,50% del costo totale dell' opera stessa. 4. Le modalità di quantificazione, erogazione ed impiego degli importi dovuti agli enti locali interessati, ai sensi del comma 3, sono stabilite dal regolamento di esecuzione”.
222 Si riporta, per comodità, il testo della norma: “Modalità di svolgimento delle audizioni pubbliche 1. Le audizioni pubbliche di cui all'articolo 16 comma 2 della legge regionale 43/1990, hanno luogo quando motivamente richieste al
competente Ufficio regionale dal Sindaco del Comune interessato o di un Comune contermine, ovvero, in mancanza di tale richiesta, dal legale rappresentante di un'associazione di protezione ambientale riconosciuta ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349, oppure da un numero di cittadini, iscritti nelle liste elettorali del Comune interessato, pari almeno al 3% del corpo elettorale. L'audizione deve essere svolta nel termine perentorio di quindici giorni dalla scadenza del termine di cui all'articolo 16 comma 1 della legge regionale 43/1990. 2. Nell'avviso pubblico dell'indizione dell'audizione saranno indicati il tema di discussione, il giorno, l'ora e il luogo dove essa si terrà. 3. L'audizione, presieduta dal Sindaco o un suo delegato, si apre con una sua relazione, cui segue l'esposizione del progetto in esame da parte del committente o dell'autorità proponente ovvero, in sua assenza, da parte della Regione. 4. Della discussione viene redatto un verbale a cura della segreteria del Comune il cui Sindaco ha presieduto l'audizione; esso viene inviato all'Amministrazione regionale nel termine di cui all'articolo 16 comma 2 della legge regionale 43/1990. 5. In ragione di quanto previsto dal presente articolo i termini per il completamento del procedimento di valutazione potranno venire sospesi con provvedimento motivato del responsabile del procedimento per una sola volta e per non più di quindici giorni necessari per lo svolgimento dell'audizione”.
223 Pubblicata nel B.U.R. Emilia Romagna 21 maggio 1999 n° 66.
224 Cfr. art. 15, comma 3, L. Reg. Emilia Romagna n° 9/1999.
225 Cfr. art. 15, comma 4, L. Reg. Emilia Romagna n° 9/1999.
226 Pubblicata in B.U.R. Puglia 12 aprile 2001 n° 57.
227 Cfr. art. 12, comma 4, Legge Reg. Puglia n° 11/2001.
228 Cfr. art. 12, comma 4, seconda parte, Legge Reg. Puglia n° 11/2001.

Analogamente alle Regioni Basilicata e Friuli Venezia Giulia, anche la Regione Emilia Romagna non adotta la terminologia tradizionale: l’art. 15 (rubricato “partecipazione”) della Legge Reg. Emilia Romagna 18 maggio 1999 n° 9 (“Disciplina della procedura di valutazione dell'impatto ambientale”)223 prevede – anche in questo caso dopo aver garantito la partecipazione e la pubblicità – che “l'autorità competente può promuovere, nei casi di particolare rilievo, una istruttoria pubblica con le amministrazioni, le associazioni ed i soggetti interessati per fornire una completa informazione sul progetto e sul S.I.A. e per acquisire elementi di conoscenza e di giudizio in funzione della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.). Alla istruttoria è data adeguata pubblicità e deve essere invitato il proponente”224. L’istruttoria, quindi, è costruita su base facoltativa e presenta le stesse finalità degli istituti affini predisposti dalle altre Regioni in punto di finalità interna ed esterna, secondo la terminologia che è stata adottata nel presente lavoro.
Anche la legge emiliana prevede, nel caso in cui non si sia dato luogo all’istruttoria, la possibilità di disporre un contraddittorio225.
Per completezza espositiva si segnala che la normativa emiliana citata è stata oggetto di modificazione – non per le parti trattate nel presente lavoro – ad opera della Legge Reg. Emilia Romagna 16 novembre 2000 n° 35.  

Di “istruttoria pubblica” parla anche la normativa pugliese in tema di valutazione di impatto ambientale. La Legge Reg. Puglia 12 aprile 2004 n° 11 (“Norme sulla valutazione dell’impatto ambientale”)226, prevede all’Art. 12 (anche in tal caso significativamente rubricato “istruttoria”) che “l'autorità competente può promuovere una istruttoria pubblica con le amministrazioni, le associazioni e i soggetti interessati per fornire una completa informazione sul progetto e sul SIA e per acquisire elementi di conoscenza e di giudizio in funzione della VIA”227.
Prosegue la norma stabilendo che, qualora non abbia avuto luogo l’istruttoria pubblica, “l'autorità competente promuove il contraddittorio tra il proponente e coloro che hanno presentato pareri e osservazioni”228.
In relazione alle risultanze dell’istruttoria pubblica ovvero del contraddittorio le amministrazioni interessate ed il proponente (che hanno ricevuto
comunicazione delle stesse) possono fornire le proprie controdeduzioni: il proponente può anche “uniformare, in tutto o in parte, il progetto di intervento o di opera ai pareri, osservazioni o contributi espressi”229.
229 Cfr. art. 12, comma 6, Legge Reg. Puglia n° 11/2001.
230 Pubblicata in B.U.R. Umbria 22 aprile 1998 n° 26.
231 Pubblicata in B.U.R. Sicilia 7 maggio 2001 n° 21.
232 Pubblicata in B.U. Prov. Bolzano 4 agosto 1998 n° 32.
233 Cfr. art. 6, comma 4, L. Prov. Bolzano n° 7/1998.
234 Pubblicata in B.U. 6 settembre 1988 n° 40.
235 P.L. Portaluri, La partecipazione dei privati al procedimento di formazione del piano, ( Relazione all’XI Convegno nazionale AIDU di Verona del 10-11 ottobre 2008 su «I rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale», destinata agli Scritti in ricordo di Franco Pugliese), in www.giustizia-amministrativa.it, distingue due forme di partecipazione, una più ampia, garantita dale norme della l. n° 241/90, ed una “minorata”: “[…] comunicazione d’avvio del procedimento, diritto di accesso, presentazione di memorie scritte e documenti, eventuale conclusione di

La legislazione umbra, pur disponendo di una normativa dedicata alla valutazione di impatto ambientale, la Legge Reg. Umbria 9 aprile 1998 n° 11 (“Norme in materia di impatto ambientale”)230, non conosce l’istituto dell’inchiesta pubblica, né altri ad esso assimilabili.

Idem per quanto riguarda la legislazione siciliana: infatti, la Legge Reg. Sicilia 3 maggio 2001 n° 6 (“Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2001”)231 introduce all’Art. 91 “Norme sulla valutazione di impatto ambientale” ma non tratta di istituti di partecipazione.
La Sicilia risulta essere l’unica Regione a non essersi ancora dotata di una disciplina organica della v.i.a.

La Legge Provinciale Bolzano 24 luglio 1998 n° 7 (“Valutazione Dell'impatto Ambientale”)232, prevede una forma particolare denominata “presentazione pubblica del progetto”, richiesta dal “Comune interessato al progetto o [dal] rappresentante legale di un'associazione ambientalistica operante a livello provinciale”233. Non sembra che tale norma introduca qualcosa di assimilabile all’inchiesta pubblica, essendo orientata ad una forma minima di pubblicità che non sembra connotabile di rilevanza istruttoria.

Più completa appare la Legge Prov. Trento 29 agosto 1988 n° 28 (“Disciplina della valutazione dell' impatto ambientale e ulteriori norme di tutela dell' ambiente”)234, la quale prevede sia l’indizione di “pubbliche assemblee sui progetti assoggettati a valutazione dell'impatto ambientale”, a cura dell’Assessore cui sono affidate le competenze per l'ambiente e d' intesa con i Sindaci dei Comuni interessati; sia lo svolgimento di una “pubblica riunione” su richiesta del Sindaco – o dei Sindaci – del Comune interessato (o di una o più delle minoranze consiliari) formulata al Servizio protezione ambiente, per ottenere l'illustrazione dello studio di impatto ambientale in una pubblica riunione alla quale deve essere anche invitato il promotore.

6. Profili processuali. Dalla disamina della legislazione regionale sopra offerta emergono almeno due dati utili per formulare qualche considerazione in ordine ai risvolti di carattere processuale derivanti dalla forma di partecipazione costituita dall’inchiesta pubblica235.
accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento sono gli istituti all’uopo previsti in linea generale, con esclusione però – in forza dell’art. 13, l. n. 241/’90 – «dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione», per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Ben diverso – si sa – il disegno di legge elaborato dalla Commissione Nigro, nel quale i procedimenti di massa erano sottratti all’applicazione delle norme generali racchiuse nella l. n. 241/’90 in quanto inseriti in moduli partecipativi più avanzati, come l’inchiesta pubblica; in sede consultiva il Consiglio di Stato elise tout court la previsione, col paradossale risultato che l’art. 13 finì – con buona (?) pace del Maestro – per essere il sigillo dell’anacronistico status quo: lo standard minimo di partecipazione assicurato dalla l. n. 241/’90 per la generalità dei procedimenti amministrativi non riguarda quelli di massa, per i quali vale la soglia ancora inferiore fissata dalle relative disposizioni di settore. […]”.
236 In carattere obbligatorio consegue, tuttavia, alla previa richiesta di convocazione dell’inchiesta pubblica proveniente da uno dei soggetti legittitmati: cfr. sul punto, T.a.r. Veneto, sez. III, sentenza 14 maggio 2003 n° 5194, in www.giustizia-amministrativa.it, per la quale “[…] ai sensi dell’art.2 comma 1 lettera m) della legge regionale 10/99 sono comuni interessati alla procedura di valutazione di impatto ambientale non solo i comuni nel cui territorio viene localizzato l’impianto, ma anche gli eventuali comuni interessati dagli impatti ambientali, come individuati nello studio di impatto ambientale, ai quali spetta esprimere parere di cui al comma 2 dell’articolo 5 del d.p.r. 12 aprile 1996; infatti lo studio di impatto ambientale deve contenere, tra l’altro, l’individuazione dei comuni e delle province interessati, posto che ai sensi dell’articolo 18 comma 5 il presidente della commissione valutazione di impatto ambientale è tenuto a disporre l’inchiesta pubblica di cui al comma quarto qualora essa sia richiesta dal sindaco di uno dei comuni interessati […]”.
237 Cfr. T.a.r. Toscana, sez. I, sentenza 12 giugno 2001 n° 1062, in www.giustizia-amministrativa.it: “Inoltre il progetto stesso viene poi sottoposto ad una procedura pubblica estremamente garantista e trasparente, con “presentazione pubblica”, avvisi, possibilità di opposizioni, osservazioni, inchiesta pubblica e contraddittorio. Si tratta insomma di un’istruttoria complessa (aperta alla partecipazione pubblica) che confluisce tra gli elementi di valutazione ai fini della determinazione finale e che può, evidentemente, condizionarne l’esito. Tale istruttoria non è certo quella, chiaramente, del normale N.O. paesaggistico. Né potrebbe opporsi, ad avviso del Collegio, a tali considerazioni, che si tratta di procedimenti diversamente tipizzati dalla legge e commessi alle competenze di differenti autorità. Ed infatti i soggetti pubblici competenti al rilascio di pareri, nulla-osta e autorizzazioni […]”.
238 Nell’ambito della completezza istruttoria si colloca la facoltà per il soggetto proponente (riconosciuta da T.a.r. Puglia, Bari, sez. I, sentenza 17 dicembre 2003 n° 171, in www.giustizia-amministrativa.it) di presentare osservazioni alle memorie prodotte in sede di inchiesta pubblica (“[…] ai sensi dell’art. 7, comma 5, All. IV al D.P.C.M. 27/12/1988, il soggetto proponente ben può presentare osservazioni alle memorie presentate da chi ne abbia avuto interesse e tali controdeduzioni non possono che essere formulate successivamente alla presentazione delle osservazioni e prima della chiusura dell’inchiesta pubblica […]”).
239 Cfr. T.a.r. Toscana, sez. I, sentenza 1 marzo 2005 n° 978, in www.giustizia-amministrativa.it: “[…] parte ricorrente lamenta la mancata attivazione della c.d. “ inchiesta pubblica” prevista dall’art. 9 della L.R. n. 68/95, ma tale rilievo non coglie nel segno ove si consideri che l’istituto previsto dall’art. 9 testé citato è solo una facoltà che la Regione può esercitare e nel caso di specie l’Amministrazione, avuto riguardo a quanto dalla stessa osservato congruamente nella parte narrativa della delibera […] e tenuto altresì conto  dei dati recati dagli elaborati progettuali relativi allo studio di impatto ambientale, correttamente ha spiegato, il perchè della non sussistenza delle condizioni richieste per farsi luogo all’attivazione della inchiesta pubblica. […]”. Cfr. anche C.G.A.R.S., sentenza 25 marzo 2009 n° 185, in www.giustizia-amministrativa.it: “[…] Quanto alla mancata attivazione della inchiesta pubblica, la norma la prevede come mera eventualità la cui esigenza non può essere desunta dalle mere “perplessità” di uno solo dei componenti della
Il primo è rappresentato dal fatto che l’inchiesta pubblica non è mai costruita su base obbligatoria236, così che in nessun caso è possibile invocare la semplice violazione di legge di cui all’art. 21-octies L. n° 241/90 per ottenere l’annullamento del provvedimento adottato all’esito di un procedimento nel quale non è stata espletata l’inchiesta pubblica.
Il secondo dato si estrinseca sotto un duplice profilo. Le normative regionali, da un lato, attribuiscono all’inchiesta pubblica la finalità di acquisizione di elementi di conoscenza e di giudizio, assegnando all’istituto non tanto una funzione partecipativa quanto una funzione istruttoria237; dall’altro, prevedono che le risultanze dell’inchiesta pubblicano siano oggetto di apposita estrinsecazione nella parte motiva del provvedimento di compatibilità ambientale.
La funzione istruttoria238 dell’inchiesta pubblica, collegata al dovere di motivazione, lascia intendere che l’unico spazio nel quale può vivere una qualche iniziativa amministrativa-giurisdizionale è quello della violazione di legge, nella forma del difetto o dell’incompletezza della motivazione, e dell’eccesso di potere, nella figura sintomatica della omessa239 o incompleta istruttoria.
Commissione provinciale, sulla “vastità del territorio perimetrato” sulla considerazione che sussiste già un vincolo ben preciso sulle Cave di Cusa. Trattasi di una obiezione di per sé inidonea a fare scattare una qualche doverosità, in ordine alla indizione dell’inchiesta prevista dalla norma, perché inadeguata rispetto agli obiettivi della proposta, ed alla somma dei valori che ne hanno costituito il presupposto. “Perplessità” e “voto contrario” minoritario entrano nella dinamica propria della formazione di volontà degli organi collegiali, senza per questo richiedere supplementi istruttori, a meno di non costituire oggetto di un’espressa, circostanziata richiesta del dissenziente che vincoli l’organo collegiale a darvi corso (o per legge, o perché oggetto di apposita mozione regolarmente approvata). […]”. 
240 Cfr. V. Domenichelli, op. cit., p. 1915: “Relativamente alla categoria di interessi qui considerati [gli interessi superindividuali: n.d.r.], è sufficiente in questa sede rilevare come oggi venga data legittimazione al ricorso – non soltanto a chi si affermi titolare di un interesse individuale protetto – ma anche ad enti esponenziali di interessi di categoria e ad associazioni collettrici di interessi superindividuali che vivono nella società allo stato diffuso, sebbene la giurisprudenza, quando manchino precise norme legislative che attribuiscono esplicitamente la legittimazione ad enti od associazioni portatori di interessi superindividuali […] pretenda l’esistenza di determinati collegamenti (spaziali-territoriali o procedimentali) per riconoscere la legittimazione a farsi portatori in giudizio di interessi siffatti”.
241 La L.R. Marche n° 40/2004 riconosce la partecipazione all’inchiesta pubblica ai “portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati”.

Occorre, però, indagare un ulteriore – e preliminare – aspetto processuale, costituito dall’interesse al ricorso.
Come è noto, il sistema di giustizia amministrativa è strutturato sul modello della domanda del privato al giudice e sul modello del giudizio sull’atto e non sul rapporto. Conseguenza immediata e diretta di tale impostazione del processo amministrativo consiste nel limitare l’interesse al ricorso all’ipotesi in cui detto interesse sia individualizzato, appartenga, in altri termini, alla sfera giuridica di chi agisce. Ne deriva che le situazioni giuridiche soggettive non individualizzate non possono ricevere tutela dinanzi al giudice amministrativo.
Tuttavia, la giurisprudenza si è espressa nel senso di ritenere ampliabile il catalogo delle ipotesi di legittimazione al ricorso ai casi in cui il ricorrente sia in grado di dimostrare l’esistenza di un particolare legame tra se stesso e la situazione giuridica soggettiva che assume sia stata lese dall’azione amministrativa240.
Nel caso in esame, il particolare legame può essere individuato dall’aver il ricorrente partecipato (in quanto legittimato) ai lavori della inchiesta pubblica: ma in tal caso l’oggetto del ricorso dovrebbe essere limitato non al merito del provvedimento finale (per vizi dell’inchiesta pubblica) ma solo la procedura di inchiesta stessa: diversamente nel caso in cui il soggetto partecipante all’inchiesta cumuli in sé anche un interesse diretto all’oggetto della procedura finale.
La soluzione del problema dell’interesse al ricorso, poi, è complicata dalle espressioni con le quali le leggi regionali individuano i legittimati alla partecipazione all’inchiesta pubblica: tale legittimazione partecipativa si risolve – ad eccezione di rari casi241 - nel generico riferimento a “chiunque abbia interesse”, lasciando – inevitabilmente – all’amministrazione la valutazione della sussistenza dell’interesse.



avv. Massimo        Spinozzi 
m.spinozzi@unimc.it